A Matera “Coscienza dell’Uomo” di Cine Sud

Fotografia ancora protagonista a Matera con Coscienza dell’Uomo, la rassegna promossa da Cine Sud di Catanzaro che, dopo ben undici mesi di programmazione in occasione di Mat2019, non ha ancora estratto tutte le carte fuori dal mazzo, ma è pronta a stupire con ulteriori e sempre originali proposte. Dopo Soglie, il lavoro di Paolo Ranzani dedicato ai detenuti del carcere di Saluzzo, presentato appena pochi giorni fa, è la volta di Amici miei, la mostra di Ottavio Maledusi che sarà inaugurata lunedì 11 novembre alle 18:30, presso lo Spazio Galleria di Pede a Matera. Ancora una nuova opportunità, per il pubblico di curiosi, appassionati o professionisti del settore, per confrontarsi con un certo modo di intendere e fare fotografia, che mette da parte regole e cliché a favore di una maggiore libertà stilistica e narrativa. Nessuna commissione, alcuna richiesta, niente griglie entro cui incasellare fotografie facilmente accattivanti e banalmente seducenti. Ad accomunare i fotografi di Coscienza dell’Uomo è solo l’esigenza di comunicare. Un ideale, una storia, un sentimento, un’emozione. Una passione. Nell’immagine c’è il soggetto, il suo perché, e il cuore dell’autore. Nient’altro. E la mostra di Ottavio Maledusi ne è ancora una volta chiara dimostrazione. Nasce per caso, Amici miei. Dall’idea di un giovane, figlio d’arte, che cresce circondato da macchine fotografiche, fotografie e fotografi. Eppure in lui non c’era il desiderio di mettersi dietro l’obiettivo per farne un mestiere. Albergava, piuttosto, una certa curiosità, il desiderio di sperimentare, di giocare con la fotocamera per comprendere più a fondo quel mondo che aveva osservato così da vicino e dal quale era, inevitabilmente, influenzato.

Pezzi di carta posizionati per terra, ciascuno in angolo diverso, fotografati da una reflex su un treppiedi, poi assemblati. Nasce così, da un esperimento compiuto nel 2016 in una periferia di Milano, Amici miei. La raccolta di fotografie che ritrae in molteplici posizioni gli stessi soggetti, gli “amici” di famiglia, da Settimio Benedusi a Gian Paolo Barbieri, da Giovanni Gastel a Nino Migliori, e ancora Gianni Berengo Gardin, Maurizio Galimberti, Renato Marcialis, Beppe Bolchi, Giovanna Calvenzi, solo per citarne alcuni. Fotografi, giornalisti, photo editor, curatori di mostre. Professionisti del settore che si trovano, per caso, dall’altra parte. Non più, qui, autori di riflessioni, recensioni, ritratti, fotografie, allestimenti, ma soggetti/oggetti della Fotografia. Singolare e attraversato da una sottile ironia, l’esperimento di Ottavio Maledusi diventa interessante non solo per la sorprendente bellezza delle immagini realizzate, ma anche per aver messo in evidenza la capacità della Fotografia di andare oltre gli schemi, di essere arte nell’arte, strumento nelle mani di artisti che trovano nella composizione di una immagine la forma più immediata per comunicare una idea o un concetto o semplicemente per esprimersi. Ecco perché la Fotografia, volutamente in maiuscolo, è libera e mai uguale a se stessa. Perché mai uguali sono le storie e i punti di vista di chi la compone. È un po’ la storia di Ottavio Maledusi, che ha trovato in un originale progetto fotografico il modo per farsi comprendere o, almeno, per comunicare parte del suo essere. «In imbarazzo davanti al singolo scatto, è solo l’insieme di scatti che mi fa sentire a mio agio. Con più scatti posso dire qualcosa …. forse», ammetterà l’autore in una intervista a Lello Piazza, spiegando il perché di una fotografia che sovrappone e accorpa piùfotografie, dando vita a immagini stranianti, nelle quali il soggetto è uno, e al tempo stesso “nessuno e centomila”, in una pirandelliana visione della fotografia. In quel moltiplicarsi di posizioni, sguardi, gesti, di personaggi che si guardano o si ignorano, si avvicinano, si parlano, si coglie, insieme al gioco e al riuscito esperimento fotografico, un velato riferimento alla natura multiforme dell’essere umano, alla possibilità di essere “uno e nessuno”, di esistere e al tempo stesso non esistere in un possibile inganno dal quale nessuno è davvero estraneo. Lo stesso Ottavio Maledusi esiste, o forse no. Perché il suo non è che un nome d’arte, lo pseudonimo scelto dall’autore, poco incline ad apparire, per nascondere la sua vera identità e riuscire così ad aprire un account dove pubblicare le proprie fotografie. Fotografie che non nascono con l’idea di comporre una mostra, ma diventano poi mostra. Ne realizza sempre di più, per caso, trovandosi a cena, al compleanno, o a casa di uno degli “amici”, o di proposito, quando il gioco si fa divertente e sono loro stessi, i fotografi, a chiedere di partecipare. Immagine dopo immagine, la tecnica si affina, così come la capacità di curare l’ambientazione che non è mai casuale, ma studiata per essere in perfetta sintonia con il soggetto. Uno studio, un divano, un set fotografico, le ambientazioni sono diverse, eppure ciascuna in armonia con il personaggio, che viene rappresentato nel suo mondo, colto nelle sue molteplici sfaccettature e osservato dalle più svariate prospettive. Niente di complesso, eccetto l’esigenza di concludere gli scatti in breve tempo. «La fotografia finale è la somma di più scatti singoli e indipendenti, ma la combinazione deve riuscire a mostrare un unico (im)possibile scatto, come se in una frazione di secondo il personaggio sia riuscito a farsi fotografare ovunque, comparendo contemporaneamente in più spazi», spiega Ottavio Maledusi a Lello Piazza. «Per questo era necessario cogliere la stessa luce, per dare l’idea che il momento fosse il medesimo». Un’esperienza di geometria spaziale per Maledusi, che si trova, dunque, ad essere anche lui fotografo in mezzo a fotografi. Eppure, nel dirigere la scena e progettare la composizione, un concetto rimane ben saldo nel suo modo di fare fotografia: il rispetto del soggetto che rimane sempre l’unico protagonista. Perché di una cosa Maledusi è certo, «il fotografo non deve affermare se stesso, ma far emergere il proprio soggetto».

Pezzi di carta posizionati per terra, ciascuno in angolo diverso, fotografati da una reflex su un treppiedi, poi assemblati. Nasce così, da un esperimento compiuto nel 2016 in una periferia di Milano, Amici miei. La raccolta di fotografie che ritrae in molteplici posizioni gli stessi soggetti, gli “amici” di famiglia, da Settimio Benedusi a Gian Paolo Barbieri, da Giovanni Gastel a Nino Migliori, e ancora Gianni Berengo Gardin, Maurizio Galimberti, Renato Marcialis, Beppe Bolchi, Giovanna Calvenzi, solo per citarne alcuni. Fotografi, giornalisti, photo editor, curatori di mostre. Professionisti del settore che si trovano, per caso, dall’altra parte. Non più, qui, autori di riflessioni, recensioni, ritratti, fotografie, allestimenti, ma soggetti/oggetti della Fotografia. Singolare e attraversato da una sottile ironia, l’esperimento di Ottavio Maledusi diventa interessante non solo per la sorprendente bellezza delle immagini realizzate, ma anche per aver messo in evidenza la capacità della Fotografia di andare oltre gli schemi, di essere arte nell’arte, strumento nelle mani di artisti che trovano nella composizione di una immagine la forma più immediata per comunicare una idea o un concetto o semplicemente per esprimersi. Ecco perché la Fotografia, volutamente in maiuscolo, è libera e mai uguale a se stessa. Perché mai uguali sono le storie e i punti di vista di chi la compone. È un po’ la storia di Ottavio Maledusi, che ha trovato in un originale progetto fotografico il modo per farsi comprendere o, almeno, per comunicare parte del suo essere. «In imbarazzo davanti al singolo scatto, è solo l’insieme di scatti che mi fa sentire a mio agio. Con più scatti posso dire qualcosa …. forse», ammetterà l’autore in una intervista a Lello Piazza, spiegando il perché di una fotografia che sovrappone e accorpa piùfotografie, dando vita a immagini stranianti, nelle quali il soggetto è uno, e al tempo stesso “nessuno e centomila”, in una pirandelliana visione della fotografia. In quel moltiplicarsi di posizioni, sguardi, gesti, di personaggi che si guardano o si ignorano, si avvicinano, si parlano, si coglie, insieme al gioco e al riuscito esperimento fotografico, un velato riferimento alla natura multiforme dell’essere umano, alla possibilità di essere “uno e nessuno”, di esistere e al tempo stesso non esistere in un possibile inganno dal quale nessuno è davvero estraneo. Lo stesso Ottavio Maledusi esiste, o forse no. Perché il suo non è che un nome d’arte, lo pseudonimo scelto dall’autore, poco incline ad apparire, per nascondere la sua vera identità e riuscire così ad aprire un account dove pubblicare le proprie fotografie. Fotografie che non nascono con l’idea di comporre una mostra, ma diventano poi mostra. Ne realizza sempre di più, per caso, trovandosi a cena, al compleanno, o a casa di uno degli “amici”, o di proposito, quando il gioco si fa divertente e sono loro stessi, i fotografi, a chiedere di partecipare. Immagine dopo immagine, la tecnica si affina, così come la capacità di curare l’ambientazione che non è mai casuale, ma studiata per essere in perfetta sintonia con il soggetto. Uno studio, un divano, un set fotografico, le ambientazioni sono diverse, eppure ciascuna in armonia con il personaggio, che viene rappresentato nel suo mondo, colto nelle sue molteplici sfaccettature e osservato dalle più svariate prospettive. Niente di complesso, eccetto l’esigenza di concludere gli scatti in breve tempo. «La fotografia finale è la somma di più scatti singoli e indipendenti, ma la combinazione deve riuscire a mostrare un unico (im)possibile scatto, come se in una frazione di secondo il personaggio sia riuscito a farsi fotografare ovunque, comparendo contemporaneamente in più spazi», spiega Ottavio Maledusi a Lello Piazza. «Per questo era necessario cogliere la stessa luce, per dare l’idea che il momento fosse il medesimo». Un’esperienza di geometria spaziale per Maledusi, che si trova, dunque, ad essere anche lui fotografo in mezzo a fotografi. Eppure, nel dirigere la scena e progettare la composizione, un concetto rimane ben saldo nel suo modo di fare fotografia: il rispetto del soggetto che rimane sempre l’unico protagonista. Perché di una cosa Maledusi è certo, «il fotografo non deve affermare se stesso, ma far emergere il proprio soggetto».

Il progetto è finanziato da Cine Suddi Catanzaro in collaborazione con Hasselblad, Canon, Nikon, Olympus, Panasonic, Sigma, Sony, Tokina-Hoya, Toscana Foto Service,che hanno reso possibile la realizzazione e fruizione gratuita degli eventi.

Coscienza dell’Uomo è un progetto a cura di Francesco Mazza, Maurizio Rebuzzini e Antonello Di Gennaro.

Redazione Calabria 7

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