Acquisivano aziende per farle fallire, l’intercettazione choc: “Se cado io cade tutto”

Negli atti dell’inchiesta anche un giro di prostitute in cambio di favori. L’operazione ha portato all’arresto di sei persone vicine alle cosche
titoli di studio denaro

“Svuota, svuota perché tanto se cado io cade tutto il Filisteo eh, Sansone e tutti i Filistei”. Così parlava, intercettato, Enrico Barone, 54 anni, uno dei sei arrestati nell’inchiesta della Dda di Milano su persone vicine a cosche di ‘ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo, in provincia di Varese, e Vibo Valentia e che ha fatto emergere anche presunte infiltrazioni dei clan in ambito sanitario. Stando alle oltre 170 pagine dell’ordinanza del gip Tiziana Gueli, Barone e Maurizio Ponzoni sarebbero stati i capi della presunta associazione per delinquere: si occupavano di “pianificare e dirigere tutta la struttura con la quale vengono posti in essere i reati di natura economico finanziaria”. Un gruppo che sarebbe stato «in grado di generare ingenti profitti illeciti che sono stati impiegati anche per fornire aiuti finanziari a famiglie di soggetti già condannati” per associazione mafiosa o “comunque contigui ad organizzazioni di ‘ndrangheta”. 

Una prostituta in cambio di favori

Una prostituta in cambio di favori

 Spunta un’imputazione di sfruttamento della prostituzione nell’inchiesta della Dda di Milano che ha portato a 6 arresti e che verte anche su infiltrazioni della ‘Ndrangheta nell’emergenza Covid. Uno degli indagati, Gianluca Borelli, presunto “uomo cerniera” tra i clan e il medico Cristiano Fusi, avrebbe organizzato «un incontro» tra una prostituta e un dirigente d’azienda, non indagato, in un hotel di Milano per far partire trattative per forniture di “materiale per Covid”. Lo si legge negli atti. 

Le richieste della Dda: 18 arresti

La Dda, però, aveva chiesto 18 misure cautelari in carcere, mentre il gip ha disposto il carcere solo per due persone, Barone e Ponzoni, e gli arresti domiciliari per altri quattro. Escludendo dall’ordinanza, tuttavia, molti capitoli dell’indagine, tra cui quelli che riguardano il medico Cristiano Fusi e il presunto “uomo cerniera” Gianluca Borelli (per entrambi è stata respinta la richiesta di custodia in carcere) e con al centro i tamponi e le forniture nel settore sanitario. La “esposizione verrà limitata ai fatti di maggiore gravità”, scrive il gip, “riguardanti i reati di bancarotta fraudolenta”, l’associazione per delinquere con l’aggravante dall’agevolazione mafiosa e una «tentata estorsione aggravata», mentre “non verrà analizzata nel dettaglio Ia parte relativa ai reati di intestazione fittizia, reati fiscali, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione”. 

Le motivazioni dei mancati arresti

“La richiesta cautelare – scrive il giudice – interviene a distanza di tempo dai fatti, collocati negli anni 2018, 2019 e 2020, cui deve aggiungersi il tempo intercorso per la valutazione della vicenda da parte di questo giudice». Da qui, per il gip, l’assenza di esigenze cautelari per giustificare gli arresti su tutte le altre imputazioni e per gli altri indagati. Altre 38 pagine di capi di imputazione, infatti, sono state escluse dall’ordinanza e allegate a parte. Solo in alcune pagine dell’ordinanza esce il nome di Gianluca Borelli. Un’intercettazione, ad esempio, fa riferimento a una grossa cifra in contanti, ossia “1,5 milioni” di euro, che Barone avrebbe dato, ma solo in parte, a Borelli per “preparare tutte le ditte”. Borelli, con condanne in passato, avrebbe “ottenuto l’affidamento in prova» presso un’azienda “riconducibile a Barone”. In un capo di imputazione per estorsione, poi, è indagato, con Barone, anche Carlo Ritrovato, il quale intercettato diceva di aver fatto “35 anni di galera” e di essere «accusato di plurimi omicidi». Anche questa contestazione, però, non ha portato a misure cautelari. 

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