Una piccola figlia. Un padre mafioso pentito. Una madre che lo ha ripudiato, restando affiliata al clan. Un processo che mette i genitori l’uno contro l’altro e la bimba parte civile contro la madre. La protagonista dell’ultima storia di ‘ndrangheta, raccontata dall’edizione odierna del Tg1, ha solo quattro anni di vita. E il suo torto è nel cognome.
Il servizio mandato in onda sulla Rai ha fatto luce sul caso del collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso, figlio di Pantaleone e primo storico collaboratore di giustizia di uno dei casati di ‘ndrangheta tra i più potenti al mondo. L’ex compagna di Mancuso manterrebbe ancora contatti con gli ambienti malavitosi e per questo motivo il ministero dell’Interno le ha il programma di protezione previsto per i familiari dei collaboratori. Ma la figlia, con il placet del tribunale dei minori di Catanzaro, resta tuttora con lei.
Il servizio mandato in onda sulla Rai ha fatto luce sul caso del collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso, figlio di Pantaleone e primo storico collaboratore di giustizia di uno dei casati di ‘ndrangheta tra i più potenti al mondo. L’ex compagna di Mancuso manterrebbe ancora contatti con gli ambienti malavitosi e per questo motivo il ministero dell’Interno le ha il programma di protezione previsto per i familiari dei collaboratori. Ma la figlia, con il placet del tribunale dei minori di Catanzaro, resta tuttora con lei.
“C’è la mano della mia famiglia”
“E’ sicuro che su questo ci sia la mano della mia famiglia, anche perché in un messaggio mio padre scriveva che “lui dovrà passare sul mio cadavere – afferma Emanuele Mancuso, intervistato dall’inviato Alessandro Gaeta -, lei si era talmente addentrata che è diventata parte della famiglia. Era ed è ancora oggi ‘ndranghetista a tutti gli effetti e sta indottrinando anche mia figlia a diventarlo”.
“Sradicarla immediatamente dalla famiglia Mancuso”
Al parere del tribunale dei minori si contrappone decisamente quello della Procura del capoluogo calabrese. “Bisogna fare in modo che la bambina segua il genitore che ha intrapreso questo percorso virtuoso – dice il pm Annamaria Frustaci -, per la procura antimafia di Catanzaro sono proprio questi i casi in cui va applicato il protocollo”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche il procuratore Nicola Gratteri: “Purtroppo, quando nascono e vivono in contesti mafiosi, i bambini si nutrono di quella cultura. Se questa bambina sta crescendo con una cultura mafiosa, bisogna immediatamente sradicarla e portarla a 1000 km di distanza”.