“Alibante”, l’avvocato Bagalà muto davanti al gip

Il legale aostano, ai domiciliari dopo l'operazione della Dda di Catanzaro, è accusato di concorso in associazione esterna di stampo mafioso

Si è avvalsa della facoltà di non rispondere alle domande del gip Maria Rita Bagalà, 52 anni, l’avvocato aostano agli arresti domiciliari da lunedì scorso nell’ambito dell’inchiesta Alibante della Dda di Catanzaro. Il legale è accusato di concorso in associazione esterna di stampo mafioso. “C’è una novità che ha influito sulla scelta, – ha spiegato l’avvocato Mario Murone, che difende la collega arrestata – data dal fatto che ci hanno consegnato un dischetto che non è possibile aprire. Ad ora, non abbiamo contezza degli atti processuali, abbiamo solo l’ordinanza. Anche avessimo voluto, non avremmo potuto fare quest’oggi una scelta diversa”.

Bagalà, originaria di Lamezia Terme, ma residente nel capoluogo regionale, stando alla tesi degli inquirenti era la “mente legale” della cosca di ‘ndrangheta colpita dall’operazione “Alibante” di Carabinieri e Dda di Catanzaro, radicata sul litorale tirrenico-lametino da lungo tempo e con a capo il padre della penalista, Carmelo Bagalà (80 anni), finito in carcere la notte del blitz, operato in Calabria, ma anche in altre località italiane. La donna è accusata, nello specifico, di intestazione fittizia di beni e trasferimento fraudolento di valori aggravato, per le operazioni compiute nell’ambito della gestione di una società finalizzata alla realizzazione di un complesso alberghiero, la “Calabria Turismo Srl”. Gli inquirenti la considerano la “cassaforte” della cosca e sostengono che l’assetto sociale che Bagalà stava impostando fosse mirato a “schermare” la riconducibilità al padre.

Bagalà, originaria di Lamezia Terme, ma residente nel capoluogo regionale, stando alla tesi degli inquirenti era la “mente legale” della cosca di ‘ndrangheta colpita dall’operazione “Alibante” di Carabinieri e Dda di Catanzaro, radicata sul litorale tirrenico-lametino da lungo tempo e con a capo il padre della penalista, Carmelo Bagalà (80 anni), finito in carcere la notte del blitz, operato in Calabria, ma anche in altre località italiane. La donna è accusata, nello specifico, di intestazione fittizia di beni e trasferimento fraudolento di valori aggravato, per le operazioni compiute nell’ambito della gestione di una società finalizzata alla realizzazione di un complesso alberghiero, la “Calabria Turismo Srl”. Gli inquirenti la considerano la “cassaforte” della cosca e sostengono che l’assetto sociale che Bagalà stava impostando fosse mirato a “schermare” la riconducibilità al padre.

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