Alibante, le mani della ‘ndrangheta nei Comuni del Lametino: inchiesta chiusa per 31 (NOMI)

L'inchiesta sulle presunte infiltrazioni della 'ndrangheta nei Comuni di Falerna e Nocera è arrivata al capolinea. Diverse le posizioni stralciate

di Gabriella Passariello- Associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, corruzione, estorsione, consumata e tentata, intestazione fittizia di beni, rivelazione di segreti d’ufficio e turbativa d’asta. Sono le ipotesi di accusa contestate a vario titolo a 31 indagati coinvolti nell’inchiesta della Dda di Catanzaro, nome in codice Alibante, rispetto ai quali i sostituti procuratori Chiara Bonfadini e Romano Gallo sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e la supervisione del procuratore capo Nicola Gratteri hanno chiuso le indagini sul blitz che il 3 maggio del 2021 portò i carabinieri del Nucleo Investigativo del Gruppo di Lamezia Terme, in collaborazione con i comandi dell’Arma territorialmente competenti e con lo Squadrone Eliportato Carabinieri Cacciatori di Vibo Valentia, nei comuni di Lamezia Terme, Nocera Terinese, Falerna e Conflenti e nelle città di Aosta, Arezzo e Cosenza, a dare esecuzione a un’ordinanza di misura cautelare emessa nei confronti di 19 persone e 24 avvisi di garanzia. Tra li indagati ci sono il boss Carmelo Bagalà, l’avvocato Maria Rita Bagalà, Giovanni Costanzo,già sindaco di Falerna e in passato anche consigliere provinciale, Luigi Ferlaino, ex sindaco di Nocera Terinese, entrambi comuni del Catanzarese, Francesco Cardamone, 40 anni, attuale vicesindaco di Nocera Terinese e carabiniere in servizio al Legione Calabria con un ruolo non operativo. Diverse le posizioni stralciate, tra cui quella del giornalista Pasquale Motta, ma anche quelle di Rosario Aragona; Michele Aragona; Ugo Barletta; Paolo Cosentino; Luciano Gerardo Esposito; Luca Furgione; Salvatore Grandinetti; Bruno Malvaggio; Enzo Pandolfo; Giuseppe Scandinaro; Gino Strangis.

I nomi dei 31 indagati

I nomi dei 31 indagati

 Carmelo Bagalà, 81 anni, di Gioia Tauro; Domenico Aragona,33 anni, residente a Nocera Terinese;  Ferdinando Aragona, 51 anni di Nocera Torinese; Francesca Bagalà, 49 anni, di Nocera Terinese; Maria Rita Bagalà, 52 anni, di Lamezia Terme; Emilio Barletta, 50 anni, di Lamezia Terme; Peppino Calidonna, 77 anni, di Lamezia; Francesco Cardamone, 40 anni, residente a Nocera Terinese; Renzo Cardamone, 60 anni, di Celico; Antonio Cario, 51 anni, di Lamezia;  Alfredo Carnevale, 37 anni, di Nocera Terinese; Giovanni Costanzo, 54 anni, residente a Falerna;  Vincenzo Dattilo, 65 anni, di Lamezia;  Francesco Antonio De Biase, 50 anni, di Lamezia; Luigi Ferlaino, 54 anni, di Falerna; Alessandro Gallo, 32 anni, di Lamezia;  Mario Gallo, 57 anni, di Falerna;  Raffaele Gallo,63 anni di Conflenti; Antonio Gedeone, 53 anni, di Arezzo; Umberto Gedeone, 48 anni, di Cosenza; Andrea Gino Giunti, 55 anni, di Aosta; Roberto Isabella, 68 anni, di Lamezia Terme; Giovanni Eugenio Macchione, 62 anni, detto “cugino o calimero”,  di Lamezia;   Vittorio Macchione, 70 anni, di Nocera Terinese; Antonio Rosario Mastroianni, 74 anni, inteso Tonino “u milanese” o “postino”, di Nocera Terinese; Vittorio Palermo, 63, di Ischia; Eros Pascuzzo, 34 anni, di Lamezia; Benito Provenzano, 61 anni, di Lamezia; Alessandro Rubino, 44 anni, residente a Montalto Uffugo; Antonio Pietro Stranges, 68 anni, di Conflenti e Maria Rosaria Virardi, 47 anni, residente a Falerna.

La cosca Bagalà e la rete dei prestanome

La cosca Bagalà avrebbe operato lungo la fascia costiera tirrenica, nei comuni di Falerna e di Nocera Terinese e sarebbe stata strettamente legata alla famiglia di ‘ndrangheta dei “Iannazzo-Cannizzaro-·Daponte” di Lamezia Terme. Il capo bastone Carmelo Bagalà  in grado di gestire tutti gli affari illeciti di famiglia, era considerato il dominus, soprattutto nel settore delle estorsioni, dell’usura e nella gestione di diverse attività economiche e finanziarie di quel territorio. Attraverso una fitta rete di prestanome, ai quali sarebbero state intestate le quote societarie della “Calabria Turismo srl” e della “Sole srl”, il boss avrebbe eluso sequestri e confische di beni, gestendo in modo occulto gli interessi economici e finanziari della cosca, investendo il capitale accumulato, provento delle varie attività illecite sia nel settore turistico alberghiero che in altri beni patrimoniali. Sarebbe riuscito, attraverso la “Calabria Turismo srl” a percepire indebitamente un finanziamento pubblico di 500.698,51, impiegando una prima trance di 299.849,25 euro per la ristrutturazione e riattivazione di una struttura alberghiera denominata “Hotel Dei Fiori” da realizzare nel comune di Falerna, lavori che avrebbe controllato in prima persona, sottomettendo e soggiogando i titolari della ditta “Megarredi”, a cui avrebbe imposto l’assunzione di persone di sua esclusiva fiducia. Li avrebbe costretti ad emettere numerosi assegni post datati a beneficio di fornitori di materiale edile, contattati e scelti direttamente dal capo cosca, facendosi consegnare dagli stessi, a titolo estorsivo, somme di denaro in contante di circa 40mila, 50mila euro e con minacce esplicite li avrebbe indotti a non esigere il credito vantato legittimamente nei confronti della “Calabria Turismo srl” e relativo ai lavori eseguiti all’ “Hotel dei Fiori”, determinando l’inevitabile fallimento della ditta Megarredi.

“La mente legale del clan”

L’avvocato  Maria Rita Bagalà, figlia di Carmelo, viene definita dagli inquirenti la mente legale della cosca: partecipava al clan, avrebbe garantito sotto la regia del padre l’amministrazione di diversi affari illeciti della compagine mafiosa, occupandosi della cura degli interessi economici e finanziari del sodalizio. Per evitare l’avvio di sequestri e confische di beni, avrebbe assunto il ruolo di prestanome nella società “Sole srl”, risultando intestataria di beni patrimoniali e quote societarie della consorteria, costituenti il provento illecito. Avrebbe amministrato con il padre Carmelo e il marito Andrea Gino Giunti, in prima persona e in maniera occulta le attività della società “Calabria Turismo srl”, interdetta per mafia nel 2016, intestata fittiziamente ai consociati prestanomi Antonio Gedeone in qualità di amministratore, Francesca Bagalà, figlia del boss e sorella di Maria Rita, Umberto Gedeone fratello dell’amministratore, Alessandro Rubino, nonché alla Cardamone Group srl. Inoltre, assieme al padre, al marito e ad altri consociati si sarebbe impegnata in operazioni di reperimento di risorse economiche di dubbia provenienza, finalizzate a perseguire il programma criminoso della cosca Bagalà, interessata a terminare i lavori di edificazione della struttura ricettiva.

Super sconti e la lunga lista di favori

Anche sconti privilegiati o prestazioni commerciali senza sborsare un euro emergono dall’inchiesta Alibante che mira a far luce sugli intrecci tra ‘ndrangheta e politica e sul controllo del clan Bagalà nel territorio del Lametino. L’attività di intercettazione svolta dai carabinieri evidenzia come il boss Carmelo Bagalà ed alcuni dei suoi familiari si recano in diversi esercizi commerciali del comune di Nocera Terinese, dove risulta essersi maggiormente radicato il sodalizio criminale, usufruendo di una serie di favori (LEGGI).

L’informativa che svela il patto tra un avvocato e il boss

Nell’informativa del Nucleo investigativo del gruppo dei carabinieri di Lamezia, confluita nel carteggio dell’operazione della Dda di Catanzaro “Alibante” spuntano due intercettazioni ambientali, nelle quali si parla dell’appoggio elettorale fornito da Carmelo Bagalà ad un legale del foro di Catanzaro. L’ 8 maggio 2018, i carabinieri intercettano una conversazione tra Carmelo Bagalà e l’architetto Vincenzo Dattilo, il quale riconosce al boss un ruolo verticistico nella malavita organizzata, riferendogli compiaciuto, che il suo modo di operare, riservato e sotto traccia gli ha garantito per molti anni una pax mafiosa nel suo territorio di influenza, permettendogli peraltro di gestire gli affari in maniera tranquilla. Il dialogo prosegue incentrandosi sull’interferenza della cosca nella politica catanzarese: Carmelo Bagalà ribadisce che in virtù della sua appartenenza alla criminalità organizzata non può schierarsi apertamente con una coalizione, ma per aiutare gli amici candidati doveva muoversi in maniera riservata. Il boss poi, arriva al sodo e racconta che alcuni anni fa aveva sancito un patto elettorale politico-mafioso con un avvocato del foro di Catanzaro, che all’epoca dei fatti era candidato al consiglio regionale della Calabria: i voti della cosca in cambio della restituzione di alcuni beni che erano stati oggetto di una misura patrimoniale: “io vi dò una mano per la casa, però voi mi dovete trovare almeno cento voti nella vostra zona” (LEGGI).

Il collegio difensivo

Gli indagati, assistiti dai loro avvocati difensori (nel cui collegio compaiono i nomi dei legali Aldo Ferraro; Giuseppe Zofea; Salvatore Calavolpe; Ortenzio Mendicino; Roberto Sorrenti; Mario Murone; Pasquale Gigliotti; Romana Gualtieri; Francesco Gambardella; Giusy Caliò; Raffaelina Mendicino; Giuseppe Spinelli; Vincenzo Belvedere; Leopoldo Marchese; Antonio Larussa; Roberta Scozzafava; Antonio Gigliotti; Vincenzo Galeota; Guido Contestabile) avranno venti giorni di tempo per depositare memorie difensive, essere sentiti dal pm, rilasciare dichiarazioni spontanee e compiere ogni altro atto utile per l’esercizio del diritto di difesa prima che la Dda vada oltre e proceda con una richiesta di rinvio a giudizio.

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