Alibante, l’informativa dei carabinieri svela il patto tra un avvocato di Catanzaro e il boss Bagalà

Un pacchetto di voti in cambio dell'impegno del legale per la restituzione di alcuni beni sottratti dall'autorità giudiziaria al capobastone

di Gabriella Passariello- Da un lato l’avvocato ambizioso, disposto a “forzare la mano” per raggiungere i suoi obiettivi e dall’altro il capo bastone della famiglia Bagalà, Carmelo, il cui dominio si estendeva non solo nella Piana di Gioia Tauro, nella provincia di Vibo, di Cosenza e di Caserta, ma anche lungo la fascia costiera tirrenica, nei comuni di Falerna e di Nocera Terinese. Accumunati entrambi da interessi forti, suggellati attraverso un patto politico mafioso. Nell’informativa del Nucleo investigativo del gruppo dei carabinieri di Lamezia, confluita nel carteggio dell’operazione della Dda di Catanzaro “Alibante” che il 3 maggio scorso ha portato a 19 misure cautelari, spuntano due intercettazioni ambientali, nelle quali si parla dell’appoggio elettorale fornito da Carmelo Bagalà ad un legale del foro di Catanzaro, candidato al Consiglio regionale della Calabria nel partito “Unione di Centro”, a sostegno dell’allora candidato alla presidenza della Regione Giuseppe Scopelliti, nelle elezioni del 28 e 29 marzo 2010.

“Vi do una mano per la casa, voi trovatemi almeno cento voti”

“Vi do una mano per la casa, voi trovatemi almeno cento voti”

L’ 8 maggio 2018, i carabinieri intercettano una conversazione tra Carmelo Bagalà e l’architetto Vincenzo Dattilo, il quale riconosce al boss un ruolo verticistico nella malavita organizzata, riferendogli compiaciuto, che il suo modo di operare, riservato e sotto traccia gli ha garantito per molti anni una pax mafiosa nel suo territorio di influenza, permettendogli peraltro di gestire gli affari in maniera tranquilla. Il dialogo prosegue incentrandosi sull’interferenza della cosca nella politica catanzarese: Carmelo Bagalà ribadisce che in virtù della sua appartenenza alla criminalità organizzata non può schierarsi apertamente con una coalizione, ma per aiutare gli amici candidati doveva muoversi in maniera riservata. Il boss poi, arriva al sodo e racconta che alcuni anni fa aveva sancito un patto elettorale politico-mafioso con un avvocato del foro di Catanzaro, che all’epoca dei fatti era candidato al consiglio regionale della Calabria: i voti della cosca in cambio della restituzione di alcuni beni che erano stati oggetto di una misura patrimoniale: “io vi dò una mano per la casa, però voi mi dovete trovare almeno cento voti nella vostra zona”.

“Mi ha preso per il culo”

Carmelo Bagalà riferisce di essersi impegnato in prima persona durante la campagna elettorale effettuata nei comuni di San Mango D’Aquino, Falerna e Nocera Terinese e nonostante fosse riuscito a veicolare circa 220 voti, il legale, (che comunque pur avendo conseguito un buon risultato, ottenendo 4.604 voti, non fu eletto) non avrebbe rispettato le promesse elettorali: “infatti me l’hanno dato il voto …gliene ho trovato duecentoventi, mi sono tirato duecentoventi voti, no però li ho trovati tra San Mango, Nocera e Falerna… mi ha preso solo per il culo… (…) i beni se li sono presi. Mi diceva delle cose che non erano vere”. Lo stesso episodio viene raccontato da Bagalà anche a due coniugi nel corso di una conversazione spiata risalente al 21 luglio 2018 “gli ho trovato duecentotrenta voti, solo io!”. Il boss confermando i dialoghi avuti con Vincenzo Dattilo, anche lui coinvolto nell’inchiesta Alibante, ribadisce che l’avvocato, in cambio dei voti della cosca Bagalà, aveva garantito il suo impegno per la restituzione di alcuni beni, “una mano ve la dò a voi, però voi dovete dare una mano a me”. Carmelo Bagalà lamentava il fatto che l’avvocato “gli aveva raccontato solo palle. Non sono andato fino a sopra per buttarlo dalla strada… Gli ho trovato duecentotrenta voti solo io”.

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