di Gabriella Passariello- Dinamite, tritolo, bombe dalla portata micidiale nelle mani dei fratelli Damiano e Giuseppe Fabiano, cedute all’ ex rampollo del clan di Limbadi Emanuele Mancuso. E’ stato lo stesso collaboratore di giustizia a riferire il 26 luglio 2018, come il sodalizio criminale avesse la disponibilità di un numero considerevole di armi da guerra: dai 20 ai 30, comprese di munizioni di tipo mitra, kalashnikov e altre in uso alle forze armate. Armi di vecchia generazione, ma funzionanti, giubbotti antiproiettile, fucili a canne mozze, fucili da caccia, bombe. Vere e proprie armi e non artifizi pirotecnici, che dovevano essere date in cambio di droga come contropartita. Tutto riportato nero su bianco negli atti dell’inchiesta della Dda di Catanzaro “Anteo”, che ha portato a 30 misure cautelari e a complessivi 32 indagati. “Loro mi proposero con un biglietto scritto 10 o 15 armi che io proposi al mio fornitore di cocaina Ascone, che non li volle”. La disponibilità in capo al sodalizio Fabiano di ordigni indicati dal collaboratore, trova conferma in una conversazione del 31 maggio 2018 quando Antonio Corrado, dopo aver intrattenuto una trattativa con Damiano Fabiano che gli chiedeva di acquistare una dinamite, veniva beccato, in seguito ad una perquisizione effettuata dalla Polizia giudiziaria in possesso di una bomba a mano di provenienza militare, di 2,5 chilogrammi di Trinitrotoluene in pani, comunemente conosciuto come tritolo e di tutti gli accessori necessari alla sua accensione, micce a lenta combustione e detonatori compresi.
“Gli buttiamo una bomba e gli spacchiamo la testa”
“Gli buttiamo una bomba e gli spacchiamo la testa”
Un’ulteriore conferma emerge nella conversazione del 28 gennaio 2018, quando Damiano Fabiano e Domenico Giorgio, ipotizzando un atto intimidatorio nei confronti di un appartenente alle Forze dell’ordine, parlano di una decina di bombe: “meglio che si guarda i figli il maresciallo… una decina di bombe di quelle.. ancora ne sono rimaste.. una ce l’ho a portata di mano… che non sono andato ancora a toglierla… fai conto che ci vogliono tre minuti… non è così difficile… non ci vuole… non ci vuole un cazzo.. Oppure dove va la figlia a scuola, la prendiamo… gli buttiamo una bomba con una scritta su un bigliettino … e gli stacchiamo la testa”.
“Ti faccio saltare in aria avvocato”
Nel dialogo intercettato del 29 marzo 2018 Giuseppe Fabiano paventa di volere effettuare un attentato dinamitardo ai danni del proprio avvocato di fiducia del foro di Catanzaro per le richieste del pagamento del compenso: “ma io gli davo pure di più se li avevo.. cerca di capire no… ho pure una famiglia no… capisci cazzo… adesso lo chiamo… gli dico ah che sono questi messaggi… che se vengo là una bella bomba ti mando e ti faccio saltare in aria”.
La paura della “gola profonda”
La collaborazione di Emanuele Mancuso con la Dda di Catanzaro crea sgomento nei fratelli Fabiano e non solo. Entrambi insieme a Domenico Giorgio, il 3 luglio 2018 commentano le notizie di cronaca giudiziaria facendo riferimento alla bomba consegnata all’ex rampollo del clan di Limbadi: “ ho paura… quel cazzo di mitraglione… Quelle cunne di bombe che gli abbiamo portato”. E l’8 luglio dello stesso anno Giuseppe Fabiano apprendeva che Emanuele Mancuso aveva riferito di aver regalato una bomba a Giuseppe Soriano. Nello stesso giorno i fratelli Fabiano discutevano della necessità di nascondere tre bombe in seguito alle rivelazioni di Mancuso.
Il sistema del recupero crediti e i pizzini dal carcere
I debiti andavano onorati ad ogni costo ed è per questo che avvalendosi della forza intimidatrice derivante dall’appartenenza al clan Mancuso e alla famiglia Evalto radicata a Pizzo Calabro, Emanuele Mancuso e l’ex compagna Nensy Vera Chimirri, quali mandanti, Daniele Cortese e Clemente Selvaggio, in qualità di esecutori materiali, avrebbero minacciato e costretto Damiano Fabiano a consegnare la somma di 7.500 euro a fronte di un debito di 8mila, maturato da Emanuele Mancuso per l’acquisto di droga. L’ex compagna inviava all’esterno dell’Istituto penitenziario nel quale il pentito era ristretto, dei pizzini, messaggi contenenti l’indicazione dei soggetti dai quali recuperare il denaro dovuto prima del suo arresto e tra questi anche quelli vantati da Damiano Fabiano. Chimirri coordinava l’attività di recupero dei crediti di Clemente Selvaggio, anche attraverso la consegna di una “libretta”, nella quale venivano annotati i crediti vantati da Emanuele Mancuso. Decideva eventuali dilazioni di pagamento o sconti da praticare sull’importo dovuto, mentre Daniele Cortese per farsi dare da Damiano Fabiano il denaro da dare a Emanuele Mancuso lo convocava nel Comune di Capistrano per consentire a Selvaggio di incontrarlo e minacciarlo con una pistola ostentando la sua appartenenza alla famiglia Evalto e riferendo a Fabiano di agire per recuperare i crediti insoluti del narcotraffico e per sostenere le spese processuali, quelle necessarie per gli avvocati e i periti balistici, nominati dalla famiglia di Emanuele Mancuso per preparare la sua difesa nel procedimento penale che ha determinato nei suoi confronti l’esecuzione di un provvedimento di fermo nell’ambito dell’operazione Nemea.
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