Aquile, a Stabia la squadra pareggia ma la società vince

di Danilo Colacino –

La rabbia e la frustrazione che hanno comprensibilmente pervaso ieri sera i tifosi del Catanzaro per lo scriteriato “cucchiaio” di Giannone – giudicato da moti una sorta di match point del campionato gettato alle ortiche, malgrado la classifica avrebbe ancora detto tutt’altro pur con un blitz in terra stabiese – hanno fatto passare in secondo piano un aspetto forse addirittura più importante: il peso specifico della società giallorossa. Un club, chiamato in causa dagli stessi supporters per qualche episodio che ha danneggiato le Aquile, capace di farsi rispettare nella stanza dei bottoni con un lavoro paziente, efficace e soprattutto silenzioso. Da cosa lo si arguisce? Semplice: dalla designazione arbitrale per la supersfida del Romeo Menti in cui ha fischiato il signor Giovanni Ayroldi di Molfetta, appartenente a una dinastia di direttori di gara. E fra poco – avendo una certa dimestichezza con l’ambiente Federale e dell’Aia – spiegheremo il perché. Prima però si dia una scorsa – tanto per farsi un’idea – alla famiglia di Ayroldi, il predestinato, figlio di uno dei migliori assistenti d’Italia del recente passato. Il riferimento è al finanziere Stefano, per anni distaccato alla sezione di Salerno per motivi di lavoro, destinato alla finale della Coppa del Mondo 2010, insieme a Roberto Rosetti e all’altro linesman Paolo Calcagno, se solo non si fosse “perso” un clamoroso fuorigioco in Argentina – Messico e per giunta avviato a una carriera ancor più lusinghiera da arbitro centrale se non si fosse infortunato, decidendo però di terminare malamente l’incontro essendo claudicante, in un decisivo Crotone-Palermo di C di fine anni ‘90. Ma non è finita qui, perché il fratello di papà Stefano, tal Nicola Giovanni, è stato buon arbitro di A e da fischietto di terza serie peraltro chiamato a dirigere un Catanzaro – Cosenza di Coppa Italia in cui le Aquile dell’allora mister Francesco Paolo Specchia vinsero per 1-0, bissando poi il successo per 2-1 al San Vito in occasione del return-match. Uno che passato dietro a una scrivania ha frenato la propria avventura dirigenziale, evitando ogni conflitto d’interesse con il nipote ed agevolandone così una serena evoluzione di carriera. Una scelta tradottasi nell’avvicendamento dal ruolo di vicecommissario alla Can Pro con la nomina a “semplice osservatore” di B prima ed A adesso.

La rabbia e la frustrazione che hanno comprensibilmente pervaso ieri sera i tifosi del Catanzaro per lo scriteriato “cucchiaio” di Giannone – giudicato da moti una sorta di match point del campionato gettato alle ortiche, malgrado la classifica avrebbe ancora detto tutt’altro pur con un blitz in terra stabiese – hanno fatto passare in secondo piano un aspetto forse addirittura più importante: il peso specifico della società giallorossa. Un club, chiamato in causa dagli stessi supporters per qualche episodio che ha danneggiato le Aquile, capace di farsi rispettare nella stanza dei bottoni con un lavoro paziente, efficace e soprattutto silenzioso. Da cosa lo si arguisce? Semplice: dalla designazione arbitrale per la supersfida del Romeo Menti in cui ha fischiato il signor Giovanni Ayroldi di Molfetta, appartenente a una dinastia di direttori di gara. E fra poco – avendo una certa dimestichezza con l’ambiente Federale e dell’Aia – spiegheremo il perché. Prima però si dia una scorsa – tanto per farsi un’idea – alla famiglia di Ayroldi, il predestinato, figlio di uno dei migliori assistenti d’Italia del recente passato. Il riferimento è al finanziere Stefano, per anni distaccato alla sezione di Salerno per motivi di lavoro, destinato alla finale della Coppa del Mondo 2010, insieme a Roberto Rosetti e all’altro linesman Paolo Calcagno, se solo non si fosse “perso” un clamoroso fuorigioco in Argentina – Messico e per giunta avviato a una carriera ancor più lusinghiera da arbitro centrale se non si fosse infortunato, decidendo però di terminare malamente l’incontro essendo claudicante, in un decisivo Crotone-Palermo di C di fine anni ‘90. Ma non è finita qui, perché il fratello di papà Stefano, tal Nicola Giovanni, è stato buon arbitro di A e da fischietto di terza serie peraltro chiamato a dirigere un Catanzaro – Cosenza di Coppa Italia in cui le Aquile dell’allora mister Francesco Paolo Specchia vinsero per 1-0, bissando poi il successo per 2-1 al San Vito in occasione del return-match. Uno che passato dietro a una scrivania ha frenato la propria avventura dirigenziale, evitando ogni conflitto d’interesse con il nipote ed agevolandone così una serena evoluzione di carriera. Una scelta tradottasi nell’avvicendamento dal ruolo di vicecommissario alla Can Pro con la nomina a “semplice osservatore” di B prima ed A adesso.

Il peso del patron Floriano Noto. Ma cosa c’entra tutto ciò con il peso del patron dell’Uesse? Lo si evince, lo ribadiamo, appunto dalla scelta del 27enne Ayroldi – pupillo del designatore Danilo Giannoccaro, suo corregionale di Lecce – e appartenente a una famiglia gradita al finora incontrastato monarca dell’Aia, Marcello Nicchi. Non certo un raccomandato però, perché fra i migliori della categoria. E appunto per tale ragione da “tutelare” con destinazioni diverse – per un percorso in ascesa – da un infuocato terreno di gioco campano in cui era in programma uno scontro al calor bianco fra la prima e la terza in graduatoria. Chi conosce la materia, questo lo sa. Sì certo, poiché nel caso di specie gli indizi portavano a qualcuno del profondo Nord al fine di testare se oltre ad altre doti avesse pure il temperamento giusto per una progressione nel calcio che conta. Ma sta di fatto che Ayroldi rispetto agli altri papabili per la promozione in Can B sia quello con il più alto coefficiente di vittorie dei team in trasferta. Insolito infatti lo score personale del “giovane Giovanni” che prima di ieri annoverava, nelle 39 partite dirette nei suoi tre anni di C, appena 10 successi delle squadre di casa, 13 pareggi e ben 16 vittorie delle compagini viaggianti. Numeri per nulla paragonabili alle statistiche invece riferibili ai competitor di Ayroldi al salto fra i Cadetti: Sozza di Seregno, Marchetti di Ostia Lido, Camplone di Pescara, Amabile di Vicenza, Meraviglia di Pistoia, Marcenaro di Genova e Zufferli di Udine, solo per citare un gruppo d’elite da cui abbiamo escluso per ovvi motivi i calabresi e i campani. Sarà un caso, ma il fischietto barese, non ha mostrato alcuna esitazione nel decretare un rigore, che avrebbe potuto segnare una stagione, in favore degli ospiti all’87’ circa. Un penalty che da cronisti con qualche competenza di fatti regolamentari, e dunque non da sostenitori delle Aquile, giudichiamo originato da un fallo non certo solare di Marzorati sullo scriteriato Giannone per giunta senza la certezza di essere stato commesso in area. Che coraggio, quindi, di Ayroldi nell’indicare il fatidico dischetto nelle condizioni descritte.

Noto sulle orme del leggendario Santiago Bernabeu. Un concetto che apparentemente suona  bislacco, ma facendo le debite equivalenze proponibile. In tempi in cui l’Uefa era agli albori, infatti, il presidentissimo delle mitiche Merengues ricopriva anche la carica di vicepresidente vicario della Federazione europea, essendo in grado di far difendere il titolo detenuto dal suo Real alla seconda edizione della Coppa Campioni del ’57 sebbene non ne avesse diritto in quanto non vincitore dello Scudetto andato all’Athletic Bilbao. Una rivoluzione per i tempi. Uno stravolgimento come quello che avrebbe in mente Noto, intenzionato a introdurre pure in C il professionismo arbitrale per come ribadito nella partecipazione a una Rto dell’Aia cittadina in cui era l’ospite d’onore. Ebbene, si vince anche così.

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