Cinque condanne a pene comprese tra i 7 anni e gli 8 mesi di reclusione sono stati sentenziati nell’ambito di un filone del processo sulla maxi rapina alla Sicurtransport, avvenuta il 4 dicembre 2016, quando venne preso di assalto il caveau dell’istituto di vigilanza ubicato nella zona industriale di Caraffa alle porte di Catanzaro e i malfattori riuscirono a portare via 8 milioni e mezzo dalla sede della società. Il gup del Tribunale di Catanzaro Sara Mazzotta ha inflitto a Rocco Mannolo, 7 anni, 5 mesi e 23 giorni di reclusione; Giuliano Mannolo, 6 anni, 8 mesi e 27 giorni; Vincenzo Santoro, 6 anni, 8 mesi e 27 giorni e a Paolo Lentini, 7 anni, 5 mesi e 27 giorni, accusati a vario titolo di rapina con l’aggravante della mafiosità per aver agevolato la ‘ndrangheta “insistente nel territorio di Catanzaro, Mesoraca, San Leonardo di Cutro, Petilia Policastro e territori limitrofi”. Nei confronti di un quinto imputato Carmine Fornaro rispetto al quale, il pm al termine della requisitoria aveva chiesto l’assoluzione, sono stati inflitti 8 mesi di reclusione, pena sospesa, per false dichiarazioni ad un difensore. Un altro troncone del processo, nato dall’indagine antimafia Keleos si è chiuso in Corte di appello il 7 aprile 2021 con sei condanne e un’assoluzione (LEGGI).
L’inchiesta “Keleos”
L’inchiesta “Keleos”
Le indagini che hanno portato all’operazione denominata “Keleos”, sono state coordinate dalla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro e condotte dal Servizio centrale operativo della Polizia di Stato insieme alle Squadre mobili di Catanzaro e Foggia. Gli investigatori hanno accertato l’esistenza di uno stretto collegamento tra pugliesi della zona di Cerignola (Foggia), “specializzati” nel settore e basisti calabresi. Questi ultimi, secondo le ipotesi di accusa, si sarebbero occupati di reperire le informazioni dal basista e di procurare le auto ed il mezzo cingolato, oltre che della logistica della permanenza clandestina a Catanzaro del commando composto dai malviventi pugliesi. La rapina sarebbe stata pianificata da molto tempo e la banda armata entrata in azione aveva sfondato la parete di recinzione e il muro blindato del caveau grazie ad una grossa macchina cingolata dotata di martello pneumatico. I rapinatori, imbracciando fucili, si erano avvalsi di strumenti per schermare i luoghi dalle onde radio, facendo irruzione nel deposito tanto da costringere il personale di turno a rifugiarsi in una stanza appartata dell’edificio.
Verso l’appello
Il collegio difensivo, formato dagli avvocati Luigi Falcone, Roberto Coscia, Giorgio Vianello Accoretti, Tiziano Saporito, Giuseppe Fonte e Mario Lucente, attenderà il deposito delle motivazioni della sentenza per ricorrere in appello.