di Gabriella Passariello- Società straniere, prevalentemente Svizzere, inglesi, Cipriote e Ungheresi attivate ad hoc per infiltrare società nazionali in grave difficoltà economica, prevalentemente individuate da esponenti della cosca Bonavota, con la promessa di ripianare le situazioni debitorie attraverso canali di investimento esteri. Operazioni che Giovanni Barone di fatto avrebbe svolto a stretto contatto e sotto il coordinamento dei vertici della locale di Sant’Onofrio. Lo “sbirro”, così definito per i suoi trascorsi di ausiliario nel corpo dei carabinieri e destinatario di una misura cautelare in carcere, emessa dal gip Luca Bonifacio nell’ambito dell’inchiesta della direzione distrettuale Antimafia, diretta dal procuratore capo Nicola Gratteri, nome in codice “Assocompari”, sarebbe diventato un prezioso asset votato al reperimento di risorse economiche e alla gestione di attività commerciali a vario titolo riconducibili alla cosca stessa.
“Il finanziere prestato alla ‘ndrangheta”
“Il finanziere prestato alla ‘ndrangheta”
Dinamiche criminali già documentate in diverse attività investigative messe a segno delle Dda di Reggio, Milano, Genova, Torino e nell’inchiesta “Tenacia” Giovanni Barone viene indicato come stretto collaboratore di Andrea Pavone, definito “un finanziere prestato alla ‘ndrangheta”, entrambi incaricati di gestire le aziende acquisite in Lombardia dalla criminalità organizzata. Indagini che hanno accertato, come “lo sbirro”, per favorire una struttura alberghiera in Lombardia, a partire dal 2008 si sarebbe reso responsabile dei reati di bancarotta fraudolenta, aggravate dal metodo mafioso. Rinascita Scott aveva già censito gli stretti rapporti intrattenuti tra Barone e imputati ritenuti organici alla consorteria Bonavota come Gaetano Loschiavo, genero di Barone, Giuseppe Fortuna detto “Peppe” e Giuseppe Fortuna detto “Pino”, rispettivamente fratello e cugino di Francesco Salvatore Fortuna. In “Assocompari” vengono raccolti significativi riscontri attestanti il controllo vantato dai cugini Giuseppe Fortuna sulla società F6G srl , (oggi posta in sequestro e cessata) e i loro contatti con una società di diritto ungherese la Veritas Menedzement krt, riconducibile a Giovanni Barone, “consapevole di mettere la propria persona al servizio senza puntino e senza virgole del gruppo criminale”.
Le intestazioni fittizie e i prestanome
Da Tenacia a Tramonto e ancora a Carminius- Bellavita emerge il modus operandi di Giovanni Barone, in ogni circostanza votato a favorire economicamente la cosca di appartenenza mediante erogazione di somme di danaro o attraverso la messa a disposizione dei componenti della stessa di svariate risorse. Attività criminali, di colui che viene indicato l’indagato numero uno nell’inchiesta della Dda, caratterizzate dall’impossessamento di imprese in crisi e dalla realizzazione di una rete di intestazioni fittizie attraverso le quali veicolare risorse nei confronti del gruppo criminale. Coadiuvato dall’avvocato ungherese Edina Szilagy, avrebbe costituito e controllato occultamente tuttora una serie di società estere, la maggior parte delle quali in Ungheria e localizzate come sede legale nello studio dell’avvocato, attraverso le quali lo stesso è stato in grado di reperire ingenti risorse economiche attraverso illeciti internazionali, come nel caso della truffa ordita ai danni dei sultani omaniti per l’ammontare di un milione di euro. Risorse per la maggior parte utilizzate per scopi personali e in parte destinate a beneficio di soggetti intranei alla cosca. Barone nel 2017 avrebbe versato mediante bonifico l’importo di 2.429,68 euro, in favore di una compagnia assicuratrice marittima spagnola, finalizzato alla copertura assicurativa annuale dell’imbarcazione Azimut 58, denominata “Nelly Star”, ed era dell’indagato la decisione di modificare il nome dell’imbarcazione in Odissea. Emerge la natura fittizia dello Yacht alla società Limetta Hoe Kft, posto in essere per volontà di Barone, mediante l’assistenza e l’aiuto materiale offerto da Edina Skilagyi, punto di riferimento nell’ambito della società intestataria fittizia. Stessa cosa per l’intestazione fittizia dell’imbarcazione “Bounty, del motore marino, di un vesta, il cui reale dominus risulterebbe proprio Barone, mentre la titolarità formale sarebbe stata di Antonella Serrao. Una fittizia intestazione, secondo le ipotesi accusatorie, funzionale a Giovanni Barone per il riciclaggio di risorse economiche delle quali lo stesso aveva la disponibilità per pregresse attività di bancarotta fraudolenta e truffa, nonché in conseguenza della sua partecipazione al sodalizio ‘ndranghetistico del clan Bonavota di Sant’Onofrio, eludendo le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, sebbene il gip almeno in queste ipotesi abbia escluso l’aggravante mafiosa.
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