Autobomba a Limbadi, chiesto l’ergastolo per i 2 presunti esecutori materiali (NOMI)

La Dda di Catanzaro ha invocato la condanna per altri quattro imputati coivolti nell'inchiesta Demetra 2. Chiesti 20 anni per il genero di Rosaria Mancuso

di Gabriella Passariello- Ha chiesto condanne pesanti il pm della Dda di Catanzaro per i cinque imputati, compresi i presunti esecutori materiali, giudicati con rito abbreviato, dell’autobomba che costò la vita al giovane caporalmaggiore di Limbadi Matteo Vinci nell’ambito dell’inchiesta Demetra 2 . Il pubblico ministero Andrea Mancuso ha invocato  pene che vanno dai 7 anni di reclusione all’ergastolo. In particolare il pm, al termine della requisitoria ha chiesto al gup della distrettuale di Catanzaro Matteo Ferrante di infliggere nei confronti di Vito Barbara, (32enne) di Spadola ma residente a Limbadi, (genero di Rosaria Mancuso, già condannata all’ergastolo dalla Corte di assise di Catanzaro in qualità di mandante dell’attentato), 20 anni di reclusione;  per Domenico Bertucci (29enne) di Spadola, 8 anni; per Antonio Criniti, (32enne) di Soriano, l’ergastolo;  per Filippo De Marco, (42enne) di Soriano, ha invocato il carcere a vita; per  Pantaleone Mancuso, 9 anni e due mesi (59enne) e nei confronti di  Alessandro Mancuso, (24enne) di Limbadi, 7 anni e 8 mesi di reclusione. L’udienza è stata aggiornata al prossimo 4 maggio, giorno in cui inizieranno le arringhe difensive degli avvocati Vincenzo Cicino,Giuseppe Orecchio, Francesco Schimio, Pamela Tassone, Domenico Rosso, Giovanni Sisto Vecchio, Fabrizio Costarella, Luca Cianferoni. Il primo capitolo dell’indagine, coordinata dal pool di magistrati guidati da Nicola Gratteri, aveva assicurato alla giustizia i presunti mandanti dell’attentato nel quale rimase gravemente ferito anche il padre della vittima, Francesco Vinci, in questo troncone, invece, gli inquirenti delineano il resto dello scenario, incastonando nel puzzle investigativo i tasselli mancanti e definendo il movente che ha armato la mano dei presunti autori: la necessità di saldare un debito contratto con i Mancuso nell’ambito dei traffici di droga.

Le ipotesi accusatorie e l’omicidio premeditato

Le ipotesi accusatorie e l’omicidio premeditato

In particolare, Criniti e De Marco (difesi dagli avvocati Vincenzo Cicino, Giuseppe Orecchio e Pamela Tassone) erano finiti in carcere nel blitz messo a segno dai carabinieri di Vibo all’alba del 19 ottobre con l’accusa di omicidio tentato e consumato con l’aggravante del metodo mafioso oltre alla detenzione illegittima di un ordigno esplosivo. Secondo le ipotesi degli inquirenti i due imputati, in concorso materiale morale con Vito Barbara e Rosaria Mancuso (ritenuti i mandanti dell’attentato), avrebbero collocato una radio-bomba al di sotto della Ford Fiesta facendola esplodere e causando così la morte di Matteo Vinci e il ferimento del padre Francesco. Un omicidio aggravato dalle modalità mafiose ma anche dalla premeditazione, da motivi futili, addirittura abietti. Per saldare un debito di droga avrebbero infatti accettato di fabbricare la bomba poi collocata sotto l’auto dei Vinci. Un’accusa che, unitamente a quella dell’estorsione e della detenzione di armi, è stata annullata dal Tribunale del Riesame. Associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico è invece l’accusa mossa nei confronti dei due Mancuso, Pantaleone e Alessandro che non hanno legami di parentela diretta con l’omonima famiglia di Limbadi e Nicotera. In concorso con Vito Barbara, Antonio Criniti, Filippo De Marco e Domenico Bertucci sono accusati di essersi associati stabilmente per la coltivazione, trasporto, spaccio e cessione di sostanze stupefacenti (cocaina, hashish e marijuana). Quale promotore, direttore ed organizzatore dell’associazione viene indicato Vito Barbara, mentre Antonio Criniti e Filippo De Marco si sarebbero occupati delle modalità di approvvigionamento dello stupefacente. Partecipi all’associazione vengono indicati Pantaleone Mancuso, Alessandro Mancuso e Domenico Bertucci, con Vito Barbara che, con l’intermedizione di Pantaleone Mancuso, avrebbe acquistato per conto di soggetti ancora da identificare circa 10 chili di stupefacente.

Operazione “Demetra”

Come emerso già dalla prima inchiesta a pianificare e ad organizzare l’efferato delitto sarebbero stati proprio i Di Grillo-Mancuso nell’ambito di un più ampio e articolato disegno estorsivo finalizzato – secondo gli inquirenti – all’acquisizione di alcuni terreni di proprietà della famiglia Vinci in contrada “Macrea” a Limbadi. Così nel giugno del 2018, a pochi mesi dall’esplosione, scattò l’operazione “Demetra 1” che portò all’arresto di Domenico Di Grillo di Limbadi, la moglie Rosaria Mancuso di Limbadi (sorella dei boss Giuseppe, Francesco, Pantaleone e Diego), il genero Vito Barbara, le figlie, Lucia e Rosina Di Grillo. Nei loro confronti la Distrettuale antimafia di Catanzaro contesta, a vario titolo, i reati di omicidio tentato e consumato con l’aggravante del metodo mafioso, la detenzione illegittima dell’ordigno esplosivo e, ancora, minaccia, ricettazione, detenzione abusiva di armi, lesioni personali, estorsione e rapina. I primi quattro sono imputati dinanzi alla Corte d’assise di Catanzaro mentre Rosina Di Grillo è stata condannata, al termine del processo con rito abbreviato, a sei mesi di reclusione con sospensione della pena.

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