Autobomba a Limbadi, definitiva l’assoluzione per due imputati accusati dell’omicidio Vinci

Nessun appello della Dda per l'assoluzione dal reato più grave contestato ai presunti esecutori materiali. Resta in piedi la condanna per l'associazione
autobomba di limbadi-alt

di Gabriella Passariello-  Diventano definitive le assoluzioni per il solo reato di omicidio, del resto quello più grave, contestato a due dei sei imputati condannati  con rito abbreviato in primo grado, che secondo le originarie ipotesi di accusa sarebbero stati gli esecutori materiali dell’autobomba che costò la vita al giovane caporalmaggiore di Limbadi Matteo Vinci nell’ambito dell’inchiesta “Demetra 2”. La Dda di Catanzaro non ha proposto appello nei confronti di Antonio Criniti, (33enne) di Soriano, e Filippo De Marco, (43enne) di Soriano, rispettivamente difesi dai legali Pamela Tassone, Vincenzo Cicino e Giuseppe Orecchio. Imputati che seppur condannati dal gup Matteo Ferrante il primo a 10 anni e il secondo a 10 anni e 8 mesi di reclusione sono salvi dall’ergastolo richiesto in aula al termine della requisitoria dalla stessa Dda, proprio perché il giudice li ha scagionati dal fatto di sangue grazie anche al contributo fornito dal consulente Antonio Andrea Miriello, che ha trattato la localizzazione delle loro utenze telefoniche sostenendone l’incompatibilità con gli eventi omicidiari. La Procura antimafia di Catanzaro, una volta lette le motivazioni della sentenza  non ha ritenuto esistenti le condizioni per proporre ricorso contro il verdetto pronunciato il 26 luglio scorso e ha rinunciato a chiedere per i due imputati pene più pesanti. Ma restano in piedi i reati di associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga e la detenzione di sostanze stupefacenti.

L’appello dei legali difensori

L’appello dei legali difensori

Ci sarà comunque l’appello, quello proposto dagli avvocati (nel cui collegio difensivo compaiono oltre i nomi di Cicino, Orecchio e Tassone, anche Francesco Schimio,  Domenico Rosso, Giovanni Sisto Vecchio, Fabrizio Costarella, Luca Cianferoni) per tutti gli imputati condannati in primo grado, rispetto ai quali si punterà a ottenere un verdetto assolutorio. Il 26 luglio scorso sono stati condannati anche Vito Barbara, (33enne) di Spadola ma residente a Limbadi, (genero di Rosaria Mancuso, già condannata all’ergastolo dalla Corte di assise di Catanzaro in qualità di mandante dell’attentato), a 16 anni di reclusione; Domenico Bertucci (30enne) di Spadola, a 8 anni, Pantaleone Mancuso, 9 anni e Alessandro Mancuso, (25enne) di Limbadi, a 3 anni e quattro mesi. Il primo capitolo dell’indagine, coordinata dal pool di magistrati guidati da Nicola Gratteri, nome in codice Demetra 1, aveva assicurato alla giustizia i presunti mandanti dell’attentato nel quale rimase gravemente ferito anche il padre della vittima, Francesco Vinci, in questo troncone, invece, gli inquirenti delineano il resto dello scenario, incastonando nel puzzle investigativo i tasselli mancanti, definendo il movente di chi ha armato la mano dei presunti autori: la necessità di saldare un debito contratto con i Mancuso nell’ambito dei traffici di droga.

 Le ipotesi accusatorie e l’omicidio premeditato

Criniti e De Marco erano finiti in carcere nel blitz messo a segno dai carabinieri di Vibo all’alba del 19 ottobre con l’accusa di omicidio tentato e consumato con l’aggravante del metodo mafioso oltre alla detenzione illegittima di un ordigno esplosivo. Secondo le originarie ipotesi degli inquirenti i due imputati, in concorso materiale morale con Vito Barbara e Rosaria Mancuso (ritenuti i mandanti dell’attentato), avrebbero collocato una radio-bomba al di sotto della Ford Fiesta facendola esplodere e causando così la morte di Matteo Vinci e il ferimento del padre Francesco. Un omicidio aggravato dalle modalità mafiose ma anche dalla premeditazione, da motivi futili, addirittura abietti. Per saldare un debito di droga avrebbero infatti accettato di fabbricare la bomba poi collocata sotto l’auto dei Vinci. Un’accusa che, unitamente a quella dell’estorsione e della detenzione di armi, è stata annullata dal Tribunale del Riesame. Associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico è invece l’accusa mossa nei confronti dei due Mancuso, Pantaleone e Alessandro che non hanno legami di parentela diretta con l’omonima famiglia di Limbadi e Nicotera. In concorso con Vito Barbara, Antonio Criniti, Filippo De Marco e Domenico Bertucci sono accusati di essersi associati stabilmente per la coltivazione, trasporto, spaccio e cessione di sostanze stupefacenti (cocaina, hashish e marijuana). Quale promotore, direttore ed organizzatore dell’associazione viene indicato Vito Barbara, mentre Antonio Criniti e Filippo De Marco si sarebbero occupati delle modalità di approvvigionamento dello stupefacente. Partecipi all’associazione vengono indicati Pantaleone Mancuso, Alessandro Mancuso e Domenico Bertucci, con Vito Barbara che, con l’intermedizione di Pantaleone Mancuso, avrebbe acquistato per conto di soggetti ancora da identificare circa 10 chili di stupefacente.

Operazione “Demetra”

Come emerso già dalla prima inchiesta a pianificare e ad organizzare l’efferato delitto sarebbero stati proprio i Di Grillo-Mancuso nell’ambito di un più ampio e articolato disegno estorsivo finalizzato – secondo gli inquirenti – all’acquisizione di alcuni terreni di proprietà della famiglia Vinci in contrada “Macrea” a Limbadi. Così nel giugno del 2018, a pochi mesi dall’esplosione, scattò l’operazione “Demetra 1” che portò all’arresto di Domenico Di Grillo di Limbadi, la moglie Rosaria Mancuso di Limbadi (sorella dei boss Giuseppe, Francesco, Pantaleone e Diego), il genero Vito Barbara, le figlie, Lucia e Rosina Di Grillo. Nei loro confronti la Distrettuale antimafia di Catanzaro contesta, a vario titolo, i reati di omicidio tentato e consumato con l’aggravante del metodo mafioso, la detenzione illegittima dell’ordigno esplosivo e, ancora, minaccia, ricettazione, detenzione abusiva di armi, lesioni personali, estorsione e rapina. I primi quattro sono imputati dinanzi alla Corte d’assise di Catanzaro mentre Rosina Di Grillo è stata condannata, al termine del processo con rito abbreviato, a sei mesi di reclusione con sospensione della pena.

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