di Gabriella Passariello
E’ arrivata al capolinea l’inchiesta sull’ autobomba di Limbadi che il 9 aprile 2018 ha causato la morte di Matteo Vinci, ex rappresentante di medicinali e il ferimento del padre settantenne Francesco Antonio. Il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Andrea Mancuso ha chiuso le indagini a carico di Domenico Di Grillo, Rosaria Mancuso, Vito Barbara, Lucia Di Grillo e Rosina Di Grillo, contestando agli indagati, a vario titolo, una sfilza di reati: omicidio tentato e consumato, con l’aggravante del metodo mafioso, detenzione illegittima dell’ordigno esplosivo, minaccia, ricettazione, detenzione abusiva di armi, lesioni personali, estorsione e rapina.
E’ arrivata al capolinea l’inchiesta sull’ autobomba di Limbadi che il 9 aprile 2018 ha causato la morte di Matteo Vinci, ex rappresentante di medicinali e il ferimento del padre settantenne Francesco Antonio. Il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Andrea Mancuso ha chiuso le indagini a carico di Domenico Di Grillo, Rosaria Mancuso, Vito Barbara, Lucia Di Grillo e Rosina Di Grillo, contestando agli indagati, a vario titolo, una sfilza di reati: omicidio tentato e consumato, con l’aggravante del metodo mafioso, detenzione illegittima dell’ordigno esplosivo, minaccia, ricettazione, detenzione abusiva di armi, lesioni personali, estorsione e rapina.
Il movente dell’omicidio e del tentato omicidio. Alla base dell’omicidio ci sarebbero stati problemi di confine: Vito Barbara, Lucia Di Grillo e Rosaria Mancuso, identificati come gli ideatori e i promotori, avrebbero costretto i coniugi Francesco Antonio Vinci e Rosaria Scarpulla a cedere il fondo, sito a Limbadi, in contrada Macrea, dei quali erano proprietari, solo perché quell’immobile era ubicato all’interno di una zona sottoposta al controllo della famiglia Mancuso. Avrebbero approfittato di un momento in cui Matteo Vinci si trovava in una zona isolata con il padre, “collocando o coordinando e disponendo che altri collocassero” una radio bomba sotto la Ford Fiesta di Francesco Antonio guidata da Matteo, facendola poi esplodere, provocando la morte di Matteo “ per carbonizzazione, quindi tra atroci sofferenze”, con l’aggravante di aver commesso l’omicidio con crudeltà, per futili e abietti motivi e con le tipiche modalità mafiose, causando, inoltre, al padre lesioni personali, ustioni di secondo e terzo grado, ponendo in essere atti diretti ad ucciderlo, “evento non verificatosi per la tempestiva fuga di Francesco Antonio Vinci dalla macchina in fiamme”. A Vito Barbara, Lucia Di Grillo e Rosaria Mancuso viene contestato, anche, di aver illegalmente detenuto, portato in luogo pubblico l’ordigno per l’esecuzione dei delitti e di aver di distrutto la Ford Fiesta.
Le minacce e le aggressioni. Di Grillo, Rosaria Mancuso e Salvatore Mancuso (deceduto), avrebbero minacciato i coniugi Vinci a cedergli il fondo facendo leva sulla loro caratura criminale, sui collegamenti con la cosca Mancuso, in particolare con i fratelli di Rosaria Mancuso e Salvatore Mancuso, (si tratta di Giuseppe Mancuso alias Mbrogghjia, Pantaleone Mancuso, alias Ingegnere, Diego Mancuso, alias Mazzola, Francesco Mancuso alias Tabacco, che occupano una posizione di vertice secondo quanto accertato sin dall’operazione Dinasty), e con la cosca dei Di Grillo- Mancuso in particolare con il figlio di Rosaria Mancuso e Domenico Di Grillo, Sabatino Di Grillo. Secondo la Dda, il 14 marzo 2014, sarebbero state Lucia, Rosina Di Grillo e Rosaria Mancuso a bloccare Francesco Antonio Vinci trattenendolo dalle braccia, mentre Salvatore Mancuso lo avrebbe colpirlo al volto, alle braccia, alle gambe e poi si sarebbero scagliati contro Rosaria Scarpulla colpendola al volto. Vito Barbara, Domenico Di Grillo e Rosaria Mancuso sarebbero invece gli autori di una seconda aggressione avvenuta nell’ottobre del 2017 mentre Francesco Vinci si trovava da solo in campagna. In particolare, l’uomo sarebbe stato colpito al capo e al corpo con un’ascia (brandita da Domenico Di Grillo) ed un forcone (brandito da Vito Barbara) mentre Rosaria Mancuso li avrebbe incitati gridando “ammazzatelo! Ammazzatelo!”. Gli indagati adesso assistiti da legali Fabrizio Costarella, Giovanni Sisto Vecchio, Francesco Capria, Antonino Carmelo Naso avranno 20 giorni di tempo per depositare memorie, essere sentiti dal titolare del fascicolo e compiere ogni atto utile all’esercizio di difesa prima che il pubblico ministero proceda con la richiesta di rinvio a giudizio o di archiviazione.