di Gabriella Passariello- Ha ripercorso gli atti di indagine il pm della Dda di Catanzaro Andrea Mancuso nel corso della requisitoria fiume durata circa sette ore nell’ambito del processo sull’ autobomba di Limbadi che il 9 aprile 2018 ha causato la morte di Matteo Vinci, ex rappresentante di medicinali, e ha provocato il ferimento del padre settantenne Francesco Antonio. Per circa tre ore ha discusso sulle posizioni di quattro imputati, rinviati a giudizio dal gup Paola Ciriaco il 21 giugno del 2019 (LEGGI QUI) e accusati a vario titolo di omicidio tentato e consumato, con l’aggravante del metodo mafioso, detenzione illegittima dell’ordigno esplosivo, minaccia, ricettazione, detenzione abusiva di armi, lesioni personali, estorsione e rapina. Davanti alla Corte di assise, presieduta da Alessandro Bravin, il pubblico ministero ha chiesto l’ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi nei confronti di Rosaria Mancuso e Vito Barbara, 20 anni di reclusione per Domenico Di Grillo e 12 anni per Lucia Di Grillo. I giudici della Corte hanno aggiornato l’udienza al prossimo 18 novembre, giorno dell’inizio delle arringhe difensive degli avvocati Fabrizio Costarella, Francesco Capria, Giovanni Sisto Vecchio, Antonino Carmelo Naso e della parte civile rappresentata dall’avvocato Giuseppe De Pace. Per i presunti esecutori materiali dell’autobomba, coinvolti nell’inchiesta Demetra 2 è in corso il giudizio con rito abbreviato e il 15 dicembre prossimo è prevista la requisitoria della Dda di Catanzaro (LEGGI QUI).
Il movente dell’omicidio e del tentato omicidio
Il movente dell’omicidio e del tentato omicidio
Alla base dell’omicidio ci sarebbero stati problemi di confine: Vito Barbara, Lucia Di Grillo e Rosaria Mancuso, identificati come gli ideatori e i promotori, avrebbero costretto i coniugi Francesco Antonio Vinci e Rosaria Scarpulla parti civili nel processo, a cedere il fondo, sito a Limbadi, in contrada Macrea, dei quali erano proprietari, solo perché quell’immobile era ubicato all’interno di una zona sottoposta al controllo della famiglia Mancuso. Avrebbero approfittato di un momento in cui Matteo Vinci si trovava in una zona isolata con il padre, “collocando o coordinando e disponendo che altri collocassero” una radio bomba sotto la Ford Fiesta di Francesco Antonio guidata da Matteo, facendola poi esplodere, provocando la morte di Matteo “per carbonizzazione, quindi tra atroci sofferenze”, con l’aggravante di aver commesso l’omicidio con crudeltà, per futili e abietti motivi e con le tipiche modalità mafiose, causando, inoltre, al padre lesioni personali, ustioni di secondo e terzo grado, ponendo in essere atti diretti ad ucciderlo, “evento non verificatosi per la tempestiva fuga di Francesco Antonio Vinci dalla macchina in fiamme”. A Vito Barbara, Lucia Di Grillo e Rosaria Mancuso viene contestato, anche, di aver illegalmente detenuto, portato in luogo pubblico l’ordigno per l’esecuzione dei delitti e di aver distrutto la Ford Fiesta.
Dalle minacce alle aggressioni: “Ammazzatelo, ammazzatelo”
Di Grillo, Rosaria Mancuso e Salvatore Mancuso (deceduto), avrebbero minacciato i coniugi Vinci a cedergli il fondo facendo leva sulla loro caratura criminale, sui collegamenti con la cosca Mancuso, in particolare con i fratelli di Rosaria Mancuso e Salvatore Mancuso, (si tratta di Giuseppe Mancuso alias Mbrogghjia, Pantaleone Mancuso, alias Ingegnere, Diego Mancuso, alias Mazzola, Francesco Mancuso alias Tabacco, che occupano una posizione di vertice secondo quanto accertato sin dall’operazione Dinasty), e con la cosca dei Di Grillo- Mancuso in particolare con il figlio di Rosaria Mancuso e Domenico Di Grillo, Sabatino Di Grillo. Secondo la Dda, il 14 marzo 2014, sarebbero state Lucia, Rosina Di Grillo e Rosaria Mancuso a bloccare Francesco Antonio Vinci trattenendolo dalle braccia, mentre Salvatore Mancuso lo avrebbe colpirlo al volto, alle braccia, alle gambe e poi si sarebbero scagliati contro Rosaria Scarpulla colpendola al volto. Vito Barbara, Domenico Di Grillo e Rosaria Mancuso sarebbero invece gli autori di una seconda aggressione avvenuta nell’ottobre del 2017 mentre Francesco Vinci si trovava da solo in campagna. In particolare, l’uomo sarebbe stato colpito al capo e al corpo con un’ascia (brandita da Domenico Di Grillo) ed un forcone (brandito da Vito Barbara) mentre Rosaria Mancuso li avrebbe incitati gridando “Ammazzatelo! Ammazzatelo!”.