di Gabriella Passariello- Quattro condanne, tra cui due ergastoli. Ha retto l’impianto accusatorio della Dda di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri per i quattro imputati nel processo sull’ autobomba di Limbadi che il 9 aprile 2018 ha causato la morte di Matteo Vinci, ex rappresentante di medicinali, e ha provocato il ferimento del padre settantenne Francesco Antonio. La Corte di assise, presieduta da Alessandro Bravin, ha inflitto il carcere a vita ai presunti mandanti Vito Barbara, nei cui confronti è stato disposto anche l’isolamento diurno per 12 mesi (il pubblico ministero aveva chiesto l’ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi) e Rosaria Mancuso (il pm aveva invocato l’ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi). I giudici hanno inoltre sentenziato per Domenico Di Grillo 10 anni di reclusione (il pm aveva chiesto 20 anni) e 3 anni e sei mesi per Lucia Di Grillo, (nei cui confronti il pm della distrettuale Andrea Mancuso aveva invocato 12 anni di reclusione. I quattro imputati, accusati a vario titolo di omicidio tentato e consumato, detenzione illegittima dell’ordigno esplosivo, minaccia, ricettazione, detenzione abusiva di armi, lesioni personali, estorsione e rapina. E’ caduta per tutti l’aggravante mafiosa e inoltre gli imputati sono stati condannati a 150mila euro per ogni parte civile. Gi avvocati difensori Francesco Capria, Fabrizio Costarella, Giovanni Vecchio, Stefania Rania, Gianfranco Giunta e Mario Santambrogio attenderanno le motivazioni della sentenza per ricorrere in appello. E’ ancora in corso il giudizio con rito abbreviato nei confronti dei presunti esecutori materiali finiti nella seconda tranche dell’inchiesta, nome in codice Demetra2, e domani è prevista la requisitoria del pubblico ministero nei confronti di sei imputati(LEGGI ANCHE).
Il movente dell’omicidio e del tentato omicidio
Il movente dell’omicidio e del tentato omicidio
Alla base dell’omicidio ci sarebbero stati problemi di confine: Vito Barbara, Lucia Di Grillo e Rosaria Mancuso, identificati come gli ideatori e i promotori, avrebbero costretto i coniugi Francesco Antonio Vinci e Rosaria Scarpulla parti civili nel processo, a cedere il fondo, sito a Limbadi, in contrada Macrea, dei quali erano proprietari, solo perché quell’immobile era ubicato all’interno di una zona sottoposta al controllo della famiglia Mancuso. Avrebbero approfittato di un momento in cui Matteo Vinci si trovava in una zona isolata con il padre, “collocando o coordinando e disponendo che altri collocassero” una radio bomba sotto la Ford Fiesta di Francesco Antonio guidata da Matteo, facendola poi esplodere, provocando la morte di Matteo “per carbonizzazione, quindi tra atroci sofferenze”, con l’aggravante di aver commesso l’omicidio con crudeltà, per futili e abietti motivi e con le tipiche modalità mafiose, causando, inoltre, al padre lesioni personali, ustioni di secondo e terzo grado, ponendo in essere atti diretti ad ucciderlo, “evento non verificatosi per la tempestiva fuga di Francesco Antonio Vinci dalla macchina in fiamme”. A Vito Barbara, Lucia Di Grillo e Rosaria Mancuso viene contestato, anche, di aver illegalmente detenuto, portato in luogo pubblico l’ordigno per l’esecuzione dei delitti e di aver distrutto la Ford Fiesta.
Dalle minacce alle aggressioni: “Ammazzatelo, ammazzatelo”
Di Grillo, Rosaria Mancuso e Salvatore Mancuso (deceduto), avrebbero minacciato i coniugi Vinci a cedergli il fondo facendo leva sulla loro caratura criminale, sui collegamenti con la cosca Mancuso, in particolare con i fratelli di Rosaria Mancuso e Salvatore Mancuso, (si tratta di Giuseppe Mancuso alias Mbrogghjia, Pantaleone Mancuso, alias Ingegnere, Diego Mancuso, alias Mazzola, Francesco Mancuso alias Tabacco, che occupano una posizione di vertice secondo quanto accertato sin dall’operazione Dinasty), e con la cosca dei Di Grillo- Mancuso in particolare con il figlio di Rosaria Mancuso e Domenico Di Grillo, Sabatino Di Grillo. Secondo la Dda, il 14 marzo 2014, sarebbero state Lucia, Rosina Di Grillo e Rosaria Mancuso a bloccare Francesco Antonio Vinci trattenendolo dalle braccia, mentre Salvatore Mancuso lo avrebbe colpirlo al volto, alle braccia, alle gambe e poi si sarebbero scagliati contro Rosaria Scarpulla colpendola al volto. Vito Barbara, Domenico Di Grillo e Rosaria Mancuso sarebbero invece gli autori di una seconda aggressione avvenuta nell’ottobre del 2017 mentre Francesco Vinci si trovava da solo in campagna. In particolare, l’uomo sarebbe stato colpito al capo e al corpo con un’ascia (brandita da Domenico Di Grillo) ed un forcone (brandito da Vito Barbara) mentre Rosaria Mancuso li avrebbe incitati gridando “Ammazzatelo! Ammazzatelo!”.
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