Autobomba a Limbadi, sei condanne ma per 2 imputati cade l’accusa di omicidio (NOMI)

La Dda di Catanzaro aveva invocato al termine della requisitoria due ergastoli per i presunti esecutori materiali

di Gabriella Passariello- Sono state in parte ridimensionate le ipotesi accusatorie della Dda di Catanzaro per sei imputati, compresi i presunti esecutori materiali, giudicati con rito abbreviato, dell’autobomba che costò la vita al giovane caporalmaggiore di Limbadi Matteo Vinci nell’ambito dell’inchiesta Demetra 2. Il gup del Tribunale di Catanzaro Matteo Ferrante ha inflitto a  Vito Barbara, (32enne) di Spadola ma residente a Limbadi, (genero di Rosaria Mancuso, già condannata all’ergastolo dalla Corte di assise di Catanzaro in qualità di mandante dell’attentato), 16 anni, mentre il pm Andrea Mancuso aveva chiesto 20 anni di reclusione;  per Domenico Bertucci (29enne) di Spadola, 8 anni, come richiesto dalla Dda; per Antonio Criniti, (32enne) di Soriano, 10 anni in luogo dell’ergastolo, essendo caduto il reato di omicidio come richiesto dall’avvocato difensore Pamela Tassone, così come per Filippo De Marco, (42enne) di Soriano, (codifeso dai legali Vincenzo Cicino e Giuseppe Orecchio), che è stato condannato a 10 anni e 8 mesi invece del carcere a vita invocato dal magistrato al termine della requisitoria. Per entrambi gli imputati un contributo decisivo è stato fornito dal consulente Antonio Andrea Miriello, che ha trattato la localizzazione delle loro utenze telefoniche sostenendone l’incompatibilità con gli eventi omicidiari. Il giudice ha inoltre inflitto a Pantaleone Mancuso, 9 anni (il pm aveva chiesto 9 anni e due mesi)  e nei confronti di  Alessandro Mancuso, (24enne) di Limbadi,  3 anni e quattro mesi invece dei 7 anni e 8 mesi di reclusione richiesti dalla Dda. Gli  avvocati Vincenzo Cicino, Giuseppe Orecchio, Francesco Schimio, Pamela Tassone, Domenico Rosso, Giovanni Sisto Vecchio, Fabrizio Costarella, Luca Cianferoni, attenderanno le motivazioni della sentenza che verrà depositata tra novanta giorni per ricorrere in appello. Il primo capitolo dell’indagine, coordinata dal pool di magistrati guidati da Nicola Gratteri, aveva assicurato alla giustizia i presunti mandanti dell’attentato nel quale rimase gravemente ferito anche il padre della vittima, Francesco Vinci, in questo troncone, invece, gli inquirenti delineano il resto dello scenario, incastonando nel puzzle investigativo i tasselli mancanti e definendo il movente che ha armato la mano dei presunti autori: la necessità di saldare un debito contratto con i Mancuso nell’ambito dei traffici di droga.

Le ipotesi accusatorie e l’omicidio premeditato

Le ipotesi accusatorie e l’omicidio premeditato

In particolare, Criniti e De Marco (difesi dagli avvocati Vincenzo Cicino, Giuseppe Orecchio e Pamela Tassone) erano finiti in carcere nel blitz messo a segno dai carabinieri di Vibo all’alba del 19 ottobre con l’accusa di omicidio tentato e consumato con l’aggravante del metodo mafioso oltre alla detenzione illegittima di un ordigno esplosivo. Secondo le originarie ipotesi degli inquirenti i due imputati, in concorso materiale morale con Vito Barbara e Rosaria Mancuso (ritenuti i mandanti dell’attentato), avrebbero collocato una radio-bomba al di sotto della Ford Fiesta facendola esplodere e causando così la morte di Matteo Vinci e il ferimento del padre Francesco. Un omicidio aggravato dalle modalità mafiose ma anche dalla premeditazione, da motivi futili, addirittura abietti. Per saldare un debito di droga avrebbero infatti accettato di fabbricare la bomba poi collocata sotto l’auto dei Vinci. Un’accusa che, unitamente a quella dell’estorsione e della detenzione di armi, è stata annullata dal Tribunale del Riesame. Associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico è invece l’accusa mossa nei confronti dei due Mancuso, Pantaleone e Alessandro che non hanno legami di parentela diretta con l’omonima famiglia di Limbadi e Nicotera. In concorso con Vito Barbara, Antonio Criniti, Filippo De Marco e Domenico Bertucci sono accusati di essersi associati stabilmente per la coltivazione, trasporto, spaccio e cessione di sostanze stupefacenti (cocaina, hashish e marijuana). Quale promotore, direttore ed organizzatore dell’associazione viene indicato Vito Barbara, mentre Antonio Criniti e Filippo De Marco si sarebbero occupati delle modalità di approvvigionamento dello stupefacente. Partecipi all’associazione vengono indicati Pantaleone Mancuso, Alessandro Mancuso e Domenico Bertucci, con Vito Barbara che, con l’intermedizione di Pantaleone Mancuso, avrebbe acquistato per conto di soggetti ancora da identificare circa 10 chili di stupefacente.

Operazione “Demetra”

Come emerso già dalla prima inchiesta a pianificare e ad organizzare l’efferato delitto sarebbero stati proprio i Di Grillo-Mancuso nell’ambito di un più ampio e articolato disegno estorsivo finalizzato – secondo gli inquirenti – all’acquisizione di alcuni terreni di proprietà della famiglia Vinci in contrada “Macrea” a Limbadi. Così nel giugno del 2018, a pochi mesi dall’esplosione, scattò l’operazione “Demetra 1” che portò all’arresto di Domenico Di Grillo di Limbadi, la moglie Rosaria Mancuso di Limbadi (sorella dei boss Giuseppe, Francesco, Pantaleone e Diego), il genero Vito Barbara, le figlie, Lucia e Rosina Di Grillo. Nei loro confronti la Distrettuale antimafia di Catanzaro contesta, a vario titolo, i reati di omicidio tentato e consumato con l’aggravante del metodo mafioso, la detenzione illegittima dell’ordigno esplosivo e, ancora, minaccia, ricettazione, detenzione abusiva di armi, lesioni personali, estorsione e rapina. I primi quattro sono imputati dinanzi alla Corte d’assise di Catanzaro mentre Rosina Di Grillo è stata condannata, al termine del processo con rito abbreviato, a sei mesi di reclusione con sospensione della pena.

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