Rompe un dente perché bullizzato, Cassazione dà ragione a ragazzino calabrese

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E’ “doveroso che l’ordinamento si dimostri sensibile” verso gli adolescenti vittime di bullismo che hanno reazioni aggressive dopo essere state lasciate sole, “dalla scuola e dalle istituzioni”, “nell’affrontare il conflitto” e che non hanno avuto il “sostegno” della condanna “pubblica e sociale” dei “bulli”. Così la Cassazione ha accolto il ricorso dei genitori di un adolescente calabrese bullizzato contro la condanna a risarcire uno degli ‘aguzzini’ del figlio al quale la vittima aveva finito per tirare un pugno.

“Nell’attesa che si diffondano forme di giustizia riparativa specificamente calibrate sul fenomeno del bullismo – chiede la Cassazione nel verdetto 22541 -, ferma la necessaria condanna tanto dei comportamenti prevaricatori e vessatori quanto di quelli reattivi, la risposta giuridica, nel caso affrontato, non avrebbe dovuto ignorare le condizioni di umiliazione a cui l’adolescente in questione è stato ripetutamente sottoposto”. I genitori del ragazzino bullizzato – Maria Giovanna F. e Claudio R. – erano stati condannati dalla Corte di Appello di Catanzaro nel 2017 a risarcire con 18mila euro Gianmarco G., al quale il loro figlio Francesco aveva tirato un pugno facendogli saltare un dente. Il litigio tra i due compagni di scuola risale a circa dieci anni fa, dopo che per lungo tempo Francesco era stato angariato da Gianmarco e da altri ragazzini. Secondo la Corte d’Appello, “essendo il comportamento offensivo e persecutorio della vittima collocato in una fase temporale diversa da quella della reazione di Francesco, quest’ultimo non aveva agito per legittima difesa, ma per aggredire fisicamente il proprio rivale”. Dunque la reazione ‘a freddo’ non andava ‘perdonata’.

“Nell’attesa che si diffondano forme di giustizia riparativa specificamente calibrate sul fenomeno del bullismo – chiede la Cassazione nel verdetto 22541 -, ferma la necessaria condanna tanto dei comportamenti prevaricatori e vessatori quanto di quelli reattivi, la risposta giuridica, nel caso affrontato, non avrebbe dovuto ignorare le condizioni di umiliazione a cui l’adolescente in questione è stato ripetutamente sottoposto”. I genitori del ragazzino bullizzato – Maria Giovanna F. e Claudio R. – erano stati condannati dalla Corte di Appello di Catanzaro nel 2017 a risarcire con 18mila euro Gianmarco G., al quale il loro figlio Francesco aveva tirato un pugno facendogli saltare un dente. Il litigio tra i due compagni di scuola risale a circa dieci anni fa, dopo che per lungo tempo Francesco era stato angariato da Gianmarco e da altri ragazzini. Secondo la Corte d’Appello, “essendo il comportamento offensivo e persecutorio della vittima collocato in una fase temporale diversa da quella della reazione di Francesco, quest’ultimo non aveva agito per legittima difesa, ma per aggredire fisicamente il proprio rivale”. Dunque la reazione ‘a freddo’ non andava ‘perdonata’.

“Quando l’autore della reazione è un adolescente, vittima di comportamenti prevaricatori, reiterati nel tempo, – sottolineano invece gli ‘ermellini’ – occorre tener conto che la sua personalità non si è ancora formata in modo saldo e positivo rispetto alla sequela vittimizzante cui è stato sottoposto”.
“Ed è prevedibile – prosegue il verdetto – che la vittima possa reagire con comportamenti aggressivi internalizzati che possono trasformarsi, con costi particolarmente elevati in termini emotivi, in forme di resilienza passiva e autoconservativa, evolversi in forme di autodistruzione oppure tradursi, come in questo caso, in comportamenti esternalizzati aggressivi”.

Per la Cassazione, “in assenza di prove circa come le istituzioni, la scuola, in particolare, fossero intervenute per arginare il fenomeno del bullismo e per sostenere Francesco R., mancando anche la prova di espressioni di condanna pubblica e sociale del comportamento adottato dai cosiddetti bulli, non era legittimo attendersi da parte di Francesco, adolescente, una reazione razionale, controllata e non emotiva”. Così, i supremi giudici, concludono che non andavano ignorate “le condizioni di umiliazione” subite dal ragazzino, non si può “decontestualizzare” il pugno che ha tirato, come ha sostenuto dall’avvocato Carmine Comegna che ha difeso i due genitori. Ora ci sarà un appello bis che dovrà seguire questo verdetto.

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