Due udienze infuocate. Tra insulti, frasi intimidatorie e il rischio di mettere in discussione la riservatezza di un pentito. Il processo Grimilde, in corte d’Assise a Reggio Emilia, racconta la storia dell’ascesa dei clan crotonesi in Emilia Romagna. Nella seconda udienza, il cui contenuto è apparso sull’edizione online de Il Fatto Quotidiano in un articolo a firma di Paolo Bonacini, si registra quasi una rissa tra Valerio e Antonio Piccolo, difensore di alcuni imputati.
“Ma sei un finocchio, sei”
“Ma sei un finocchio, sei”
La tensione sale quando si discute del cosiddetto “Affare Oppido”, truffa concepita per fregare allo Stato oltre 2 milioni e 200mila euro attraverso una falsa sentenza apparentemente emessa dalla Corte d’Appello di Napoli. Il Fatto Quotidiano riporta i virgolettati delle frasi più pesanti dello scambio tra Valerio e Piccolo.
Valerio: “Facciamo una cosa, parliamo uno scemo alla volta, sennò ca’ u ne capiscimu!”. Avv. Piccolo: “Lei ha ucciso delle persone, non le ho uccise io. Lei è un omicida”. Valerio: “Le sto pagando. Lei è stato in galera uguale a me, che siamo ex colleghi. Non che io sia un avvocato…”. Avv. Piccolo: “Ma sei un finocchio, sei”. Valerio (rivolto a un imputato): “Cambia avvocato che ti conviene”
Avv. Piccolo: “Pezzo di caramella, che vuoi?”.
Presidente del collegio giudicante minaccia di sospendere l’udienza
Il presidente del Collegio, giudice Donatella Bove, interviene più volte minacciando di sospendere l’udienza e sottolineando che “sta veramente degenerando la situazione: silenzio ad entrambi”. Successivamente, come si legge sul Fatto Quotidiano, l’avvocato Piccolo rivolge domande a Valerio inerenti la sua condizione di collaboratore di giustizia: “Senta, lei è pagato dallo Stato? Quanto prende?”. Valerio: “Sì, 328 euro”. Avv. Piccolo: “Senta, lei oggi come si chiama? Ha cambiato cognome?”. Il pubblico ministero presenta immediata opposizione alla domanda e la presidente del Collegio richiama l’avvocato: “C’è un programma di protezione, è un collaboratore. La domanda non è ammessa”. Ma l’avvocato aggiunge una frase che aggrava la situazione: “Non sappiamo come si chiama oggi (Valerio). Io penso però di saperlo…”. Gelo in aula, con la pm Ronchi che commenta: “Cosa significa che pensa di saperlo? Perché io non lo so!”. Interviene la giudice Bove: “Lei ha detto: penso di saperlo. Perché?”. L’avvocato risponde: “No, nella mia idea… io immagino, immagino, immagino. Ho fatto un sogno e mi sono dato una… (risposta)”. Contestualmente è arrivato il commento finale del collaboratore di giustizia Antonio Valerio: “Minchia, che sicurezza che abbiamo qua! Allora, io sono terrorizzato. Mi viene la pelle d’oca, perché è chiaro i messaggi che mi state mandando. Benissimo, ottimo. Penso a mia figlia minorenne, e sono terrorizzato”.