Baby narcos nel regno dei rom: il clan degli zingari educava i propri figli allo smercio di cocaina

Bimbi di quattro e sette anni addestrati nel narcotraffico, scudi per evitare le Forze dell'ordine. La droga la chiamavano ciaurò

Bambini di tre, quattro, sette anni, adolescenti di quattordici, quindici anni, figli e figlie del clan Bevilacqua-Passalacqua di Catanzaro utilizzati per preparare e trasportare droga, presenti alle operazioni di acquisto delle sostanze stupefacenti insieme ai loro genitori, addestrati per diventare le nuove leve del narcotraffico in città. Emergono particolari agghiaccianti nella maxi inchiesta della Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore capo Nicola Gratteri, che ha inferto un duro colpo al regno del clan degli zingari nei quartieri Pistoia, Aranceto, Corvo, aprendo le porte del carcere a 38 indagati e spedendone altri 24 agli arresti domiciliari. Il 9 marzo 2019 viene registrata una conversazione telematica durante la quale Domenico Passalacqua e Stefania Bevilacqua, mentre preparano le dosi di cocaina da destinare allo smercio danno mandato alla figlia undicenne di prendere la cocaina custodita all’interno di una busta e un coltello per selezionare le dosi.

Al figlio di quattro anni insegnano a chiamare la droga ciaurò

Al figlio di quattro anni insegnano a chiamare la droga ciaurò

Quattro giorni dopo gli investigatori hanno accertato che Domenico Passalacqua e Antonio Delisi stavano lavorando ad oltre 100 grammi di polvere bianca mescolandola a sostanza da taglio in presenza dei loro figli di quattro e sette anni. Ed è del 26 marzo 2019 la conversazione spiata, in cui Domenico Passalacqua, doveva effettuare cessioni di cocaina ad un acquirente: si era accorto però della presenza di una pattuglia delle Forze dell’ordine e per evitare di essere sorpreso con addosso la droga, la scaricava al figlio di Delisi: “ora mi sono sceso queste cazzo di cose, che cazzo! Tienili tu… mettiteli in tasca…” . In un’altra intercettazione telefonica Domenico Passalacqua parla con un acquirente, un professionista, che si reca da lui per comprare cocaina nella casa sita in località Barone, nella quale Giosuele Passalacqua gli aveva ceduto 200 euro di cocaina in presenza dei figlio minore. Il professionista esprime un forte risentimento per la noncuranza verso i figli che versano in uno stato di degrado: “con i figli.. tutti sporchi…almeno fagli un bagno no…”. Nei discorsi tra familiar,i Domenico Passalacqua e la moglie insegnavano al figlio di 4 anni a chiamare la droga “ciaurò”, anche se i bambini potevano denominarla con il suo vero nome. I piccoli erano abituati a partecipare alle attività illecite, conoscendo i mezzi utilizzati per il confezionamento della cocaina, tra cui il bilancino, le palline di droga, la macchina per il sottovuoto e le buste per sigillare le confezioni: “dagli la busta che la deve sigillare papà”. Niente avveniva lontano dai loro occhi. 

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