“La condotta incriminata è quella del candidato che, per ottenere il voto, offre, promette e somministra denaro, valori o qualsiasi altra utilità”. In due parole, corruzione elettorale. Semplice e non mafiosa. La Corte di Cassazione spiega le ragioni per le quali ha deciso lo scorso mese di settembre di annullare con rinvio l’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di Catanzaro con la quale veniva confermata la custodia cautelare agli arresti domiciliari per l’ex assessore regionale al Bilancio della Regione Calabria Francesco Talarico (attualmente sottoposto alla misura dell’obbligo di dimora), uno degli imputati “eccellenti” di “Basso Profilo”, l’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia guidata da Nicola Gratteri sugli intrecci tra politica, imprenditoria e ‘ndrangheta nel Catanzarese. La Quinta sezione penale della Suprema corte ha reso note le motivazioni per le quali il ricorso proposto dal legale del politico lametino, l’avvocato Francesco Gambardella, è stato giudicato parzialmente fondato, ordinando così un nuovo giudizio dinnanzi al Tribunale del Riesame di Catanzaro che dovrà riunirsi in diversa composizione per valutare la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’ex numero uno dell’Udc calabrese. C’è da premettere che i giudici catanzaresi, pur confermando la misura coercitiva, avevano escluso nei confronti di Talarico la corruzione elettorale mafiosa e l’aggravante della mafiosità in associazione a delinquere riqualificando il reato di voto di scambio politico-mafioso in corruzione elettorale semplice.
La candidatura di Talarico alla Camera dei Deputati
La candidatura di Talarico alla Camera dei Deputati
Buona parte dei guai giudizi di Francesco Talarico derivano dalla candidatura alla Camera dei Deputati per le elezioni del 4 marzo del 2018 nel collegio uninominale di Reggio Calabria tra le fila dell’Udc. Secondo l’accusa a sostenerlo sarebbero stati l’imprenditore Antonio Gallo, principale imputato di “Basso Profilo”, tramite Saverio e Tommaso Brutto, che avrebbe offerto il suo appoggio elettorale promettendo un pacchetto di voti a favore di Talarico, il quale a sua volta avrebbe garantito, attraverso i contatti con personaggi influenti, di favorire gli interessi che i presunti sodali avevano in Albania nell’ambito di affari non meglio specificati né chiariti. Nel corso delle indagini era anche emerso che lo stesso Gallo avrebbe accettato di sostenere la candidatura di Talarico avvalendosi dei suoi contatti nel territorio reggino e accordandosi in particolare con alcuni esponenti politici locali e con titolari di attività imprenditoriali come Pirrello ed Errigo. Anche qui voti in cambio di favori o incarichi. Pur conseguendo un risultato significativo in un territorio diverso da quello di sua provenienza, Talarico non riuscì a conquistare il seggio per una manciata di voti. Sulla base di tutto ciò, il Tribunale del Riesame aveva già escluso il reato di scambio elettorale politico-mafioso non potendo, tra l’altro, “collocarsi in un contesto inequivocabilmente mafioso i soggetti che avevano operato in favore di Talarico, né infine potendosi ritenere certa la consapevolezza della caratura criminale del Gallo da parte del Talarico”. Nulla di mafioso, ma comunque – ad avviso dei giudici catanzaresi – “le promesse di voti in favore del Talarico da parte del Gallo, del Pirrello e dell’Errigo” sarebbero frutto “di una vera e propria negoziazione, in quanto elargite a fronte di un impegno da parte del politico, di assicurare ai propri interlocutori specifici favoritismi”.
“Talarico non coinvolto nell’affare albanese”
“Nessun ulteriore elemento – specificano i giudici della Suprema corte – viene indicato dal Tribunale del riesame per argomentare la partecipazione del Talarico alla compagine associativa finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di reati contro la pubblica amministrazione”. Talarico era legato a Tommaso Brutto, consigliere comunale di Catanzaro e appartenente alla stessa area politica. Quest’ultimo insieme al figlio era in rapporti con il maresciallo della Finanza Ercole D’Alessandro con il quale progettavano di aprire un’attività commerciale in Albania nonché il successivo coinvolgimento di Gallo. “In questo contesto – secondo quanto emerge – si era deciso di sostenere la candidatura del Talarico”. E se dalle conversazioni intercettate dagli inquirenti, i Gallo, i Brutto e D’Alessandro avevano manifestato la volontà di elargire tangenti in territorio albanese per l’assegnazione degli appalti inquadrando come necessario l’ingresso nel “comitato d’affari” di Talarico, per la Cassazione “non viene in alcun modo indicato dal Tribunale del riesame quali siano gli elementi specifici su cui fondare la partecipazione del Talarico alla struttura associativa. Evidentemente, infatti, la sola corruzione elettorale non appare affatto sufficiente, se non posta in chiaro collegamento funzionale con una più ampia attività associativa, il che – almeno per quanto riguarda il Talarico – non è minimamente evidenziato nell’ordinanza impugnata”. Per gli Ermellini insomma non risulta alcun coinvolgimento del politico lametino nell’affaire albanese e non è “in alcun modo chiarita la sua partecipazione all’iniziativa”. Da qui l’annullamento dell’ordinanza e il rinvio degli atti al Tribunale di Catanzaro per il Riesame-bis. (mi.fa.)
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