Basso Profilo, la Dda di Catanzaro vuole la condanna del notaio e ricorre in appello

"La sentenza del gup? Illogica". I magistrati chiedono ai giudici la riapertura dell'istruttoria per sentire l'imprenditrice Glenda Giglio

di Gabriella Passariello- Un’analisi parziale, riduttiva degli atti. Una sentenza “che non prende in considerazione alcuni elementi di prova, che avrebbero contribuito a far luce sui reati addebitati al professionista”. La Dda di Catanzaro, nelle persone dei magistrati Paolo Sirleo e Veronica Calcagno hanno depositato il ricorso in appello contro la decisione con cui il gup Simona Manna lo scorso 28 ottobre 2021 ha assolto il notaio Rocco Guglielmo, giudicato con rito abbreviato, nell’ambito dell’inchiesta Basso Profilo, che ha svelato presunti intrecci tra ‘ndrangheta, politica e imprenditoria. Quel giorno il giudice ha sentenziato 21 condanne e quattro assoluzioni (LEGGI), per altri 48 imputati, già rinviati a giudizio, è in corso il processo dibattimentale (LEGGI), mentre altri quattro hanno patteggiato la pena (LEGGI). Un’assoluzione, quella del noto professionista disposta con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, che lo ha scagionato da diverse ipotesi di falsità ideologiche in concorso e trasferimento fraudolento di valori in relazione alla cessione di quote societarie e alla creazione di compagini aziendali, rispettivamente a favore e da parte di prestanomi albanesi, avvenute con atti pubblici rogati dallo stesso notaio. “Risulta insufficiente- ha scritto il giudice di prime cure nelle motivazioni della sentenza- la prova della complicità del notaio, della sua consapevolezza sulla conoscenza della lingua italiana da parte dei soggetti albanesi e, dunque, della falsità ideologica degli atti rogati”, nell’ambito di un’inchiesta dove è stato accertato in primo grado l’esistenza di un sodalizio, ognuno con un compito ben preciso: c’era chi prelevava gli albanesi a Bari e organizzava la trasferta in Calabria, chi ha coadiuvato il recupero di documenti per la redazione di atti e  e teste di legno che si sarebbero messe a disposizione. Un’organizzazione che avrebbe agito attraverso un doppio schermo: l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, l’autoriciclaggio e la possibilità soprattutto per i membri apicali di mantenere un profilo basso non figurando mai nei diversi passaggi finanziari e sfuggendo così a possibili aggressioni patrimoniali. E il giudice ha scagionato Guglielmo, perché gli elementi acquisiti non hanno consentito di acclarare con certezza che il notaio si fosse reso conto che i cittadini albanesi, presentatasi da lui per il rogito di atti pubblici, non parlassero bene la lingua italiana o comunque non la comprendessero bene. In particolare per il giudice le conversazioni del 28 maggio 2018 nelle quali il principino Antonio Gallo, ora ristretto al 41bis e il commercialista Francesco Le Rose, avvisavano la necessità di ricorrere al notaio Guglielmo tramite l’imprenditrice Glenda Giglio con cui Gallo aveva un rapporto personale per la stipula degli atti di cessione di quote societarie, non sarebbero sufficienti a sostenere che il professionista si fosse reso conto delle irregolarità sottese agli atti da stipulare.

” La lettura illogica e parziale del gup”

” La lettura illogica e parziale del gup”

Secondo il giudice la presenza di Giglio sarebbe stato agli occhi del notaio del tutto indifferente, inidonea a ingenerare quei dubbi che lo avrebbero dovuto invece spingere ad approfondire ciò che si sarebbe compiuto o quantomeno ad effettuare le segnalazioni di operazioni sospette. Secondo la Dda il giudice di prime cure ha fornito una lettura parziale e illogica degli indizi, sminuendone la gravità, giungendo alla conclusione che il notaio avrebbe al più commesso una leggerezza nell’esercizio delle sue funzioni.  Ma ci sono delle anomalie che secondo i magistrati, il gup non ha tenuto in debito conto. A partire dal fatto che i cittadini albanesi hanno dichiarato al notaio solo due indirizzi di Catanzaro.

“I dati anomali non considerati dal giudice”

“Risulta certamente strano che 5 cittadini albanesi che intendono effettuare attività economiche in Italia siano domiciliati in due medesimi luoghi. O è una coincidenza strana oppure secondo una lettura logica si tratta di indirizzi di comodo”. Trattandosi di legali rappresentanti, i cittadini albanesi avrebbero dovuto vivere in Italia per poter in concreto esercitare l’attività. Ma c’è di più. Due delle società oggetto di cessione delle quote avevano come cedente una giovane studentessa “e appare singolare che lei potesse essere legale rappresentante di due società”.  Una molteplicità di dati anomali, che per la Dda non potevano sfuggire ad un professionista,  a prescindere dal grado di comprensione della lingua italiana: stranezze che avrebbero dovuto imporre al notaio il rifiuto a rogare i contratti o il dovere di  segnalare le operazioni sospette alle autorità competenti.

“Il ruolo di Glenda Giglio e il rapporto con il notaio”

Ed è in questo contesto che entra in scena la Giglio e il suo ruolo tutt’altro che passivo con il notaio. Secondo il giudice di prime cure, l’imprenditrice poteva trovarsi da Guglielmo come presidente di Confindustria Giovani Crotone o per rassicurare il professionista sulla regolarità  delle operazioni: ma per la Dda nel primo caso non si comprenderebbe il nesso tra il suo ruolo e le società lombarde e laziali di nuova creazione e nel secondo non si riuscirebbe a capire quale fosse l’ esigenza di Giglio di rassicurare il notaio sulla regolarità dell’operazione posto che i doveri del notaio prescindono per la tipologia degli atti da compiere da fantomatiche indicazioni tranquillizzanti di un garante. “O le operazioni da compiersi sono regolari oppure no. Di fronte ad una sequela di contratti con soggetti albanesi, che acquisivano il codice fiscale in italia due giorni prima o lo stesso giorno, avendo per oggetto società sedenti fuori regione, due delle quali intestate e amministrate da una studentessa, sicuramente le rassicurazioni di una persona tutt’al più devono allarmare il professionista e accrescere nel notaio la consapevolezza dell’illiceità delle operazioni”.  Secondo il giudice di prime cure il notaio non era consapevole tant’è che nella conversazione del 13 giugno 2018, Lerose  auspicava che il professionista non sollevasse obiezioni sugli atti da rogare. Ma si tratterebbe, per i magistrati della Dda che hanno vergato l’appello, di un colloquio che va letto unitariamente con altri colloqui dove Lerose ragionando sulle operazioni inesistenti da compiersi con Gallo affermava: “secondo me domani il notaio gliele fa a tutti … per togliersi davanti i coglioni”. Esiste un ulteriore indizio che il gup non ha minimamente considerato.

“Le menzogne della Giglio”

Giglio sentita nel corso dell’interrogatorio di garanzia ha negato categoricamente di essersi recata dal notaio. Una circostanza smentita dai fatti: dalla conversazione del 30 maggio 2018 in cui risulta presente all’incontro con il professionista alla  chat del telefono sequestrato alla Giglio in cui quel giorno scriveva al marito “Amò sto tornando sono andata a sbrigare una cosa da Rocco”. La falsa risposta della Giglio, per i magistrati, trova una logica spiegazione nell’evidente imbarazzo di dover spiegare al gip il suo intervento dal notaio, ben sapendo che il suo ruolo sarebbe stato decisivo ai fini del buon esito della stipula degli atti. E la Dda si pone una domanda che contiene già in sé la risposta: “Perché quindi Glenda la quale negli atti notarili non sarebbe figurata, non avendo acquisito quote, non essendone cedente, non essendo collaboratrice del commercialista, si recava dal notaio guardandosi bene dall’ammetterlo al giudice per le indagini preliminari, se non per chiedergli un favore?”. Lei avrebbe invitato il professionista  “a chiudere un occhio, anzi due, di fronte ad una palese attività criminale ordita da Gallo”. I magistrati ai giudici di appello chiedono la riapertura dell’istruttoria dibattimentale per escutere Glenda Giglio, la riforma della sentenza di primo grado e la condanna dell’imputato Rocco Guglielmo.

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