Bavaglio ai pm, proibito parlare in conferenza stampa: l’ultima follia della giustizia italiana

Diritto all'informazione a rischio. Decreto del Ministero della Giustizia proibisce a pubblici ministeri e investigatori di fornire dati ai giornalisti

Diritto all’informazione a rischio con l’ultimo decreto del Ministero della Giustizia che proibisce a pubblici ministeri e investigatori di rendere dichiarazioni ai giornalisti. Una restrizione, necessaria a recepire e trasformare in legge la direttiva europea 343 del 2016, interpretata in Italia in maniera più stringente di quanto non fosse richiesto per adeguarsi alla normativa comunitaria. Per garantire la presunzione d’innocenza degli indagati, quando il decreto verrà approvato nel prossimo Consiglio dei Ministri,  saranno proibite, per legge, le conferenze stampa esclusi casi eccezionali “qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all’indagine penale, come nel caso in cui venga diffuso materiale video e si inviti il pubblico a collaborare nell’individuazione del presunto autore del reato, o per l’interesse pubblico, come nel caso in cui, per motivi di sicurezza, agli abitanti di una zona interessata da un presunto reato ambientale siano fornite informazioni o la pubblica accusa o un’altra autorità competente fornisca informazioni oggettive sullo stato del procedimento penale al fine di prevenire turbative dell’ordine pubblico“. A questo punto politici e imprenditori potrebbero essere arrestati senza che nessun cittadino sia stato informato dei motivi che hanno portato alla custodia cautelare. 

Le preoccupazioni dell’Associazione nazionale magistrati

Le preoccupazioni dell’Associazione nazionale magistrati

Oggi il governo potrebbe approvare il decreto legislativo e aprire l’iter a successivi aggiustamenti delle Camere. A esprime perplessità sul provvedimento che mette il bavaglio a pubblici ministeri e investigatori è stato il presidente del sindacato dei magistrati, l’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia. “Non vorrei che limitazioni troppo stringenti – allerta Santalucia dalle colonne de Il Fatto Quotidiano – si traducessero in un ostacolo al diritto all’informazione. A quanto mi risulta, le conferenze stampa si tengono già soltanto in casi eccezionali, in occasione di importanti operazioni con misure privative della libertà personale. Non ho memoria di conferenze stampa tenute su procedimenti, per così dire, ordinari. Quindi credo che il principio enunciato dalla direttiva viva già nella nostra prassi: non vedo alcun abuso di conferenze stampa o necessità di intervenire a limitarle quantitativamente per legge. Sono d’accordo, però, col fatto che sia necessaria una comunicazione volta a tutelare in ogni caso la presunzione di non colpevolezza, che è un principio sacrosanto e tutelato in Costituzione. Serve trovare un punto d’incontro tra le due esigenze”.

Ex vice ministro Giustizia Costa: “Indagati presentati come colpevoli”

L’ex vice ministro della Giustizia del governo Renzi, Enrico Costa, che da Forza Italia è ora migrato ad Azione partito di Carlo Calenda, ritiene invece che le limitazioni alle informazioni fornite alla stampa sono “necessarie, ora gli indagati sono presentati come colpevoli”. Tant’è che aveva chiesto in un emendamento, poi bocciato, il divieto assoluto di tenere conferenze stampa su indagini in corso, concedendo al massimo di diffondere comunicati, e il divieto di citare testualmente sui giornali passaggi delle ordinanze di custodia cautelare. “Se poi la persona viene assolta, – dichiara Costa a Il Fatto Quotidiano – si porta dietro il marchio d’infamia per tutta la vita. Io vorrei che chi è assolto uscisse dall’ingranaggio della giustizia così come ci è entrato. Per questo ho presentato anche l’emendamento (approvato) alla riforma Cartabia che permette di ottenere il diritto all’oblio in rete producendo la sentenza di assoluzione o archiviazione“. 

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