“Te lo chiederanno tante volte: cosa devi dire?”. “Quando sono tornato dall’asilo sono caduto dalle scale”. Come un nastro registrato, a soli sei anni, il bambino doveva ripetere – come racconta la giornalista Sarah Martinenghi su la Repubblica – la versione concordata con la madre e con quell’uomo che chiamava papà anche se non lo era. Si trovava in ospedale, si era da poco risvegliato, a metà gennaio, da un’operazione per salvargli la vita. Era arrivato in condizioni gravissime. L’intestino era come esploso. Ma non era per una caduta. A ridurlo in fin di vita era stato il patrigno, marocchino di 23 anni, già implicato in un’altra inchiesta, quella per le vetrine del lusso spaccate in via Roma a Torino.
Picchiato con le mani legate
Picchiato con le mani legate
L’aveva massacrato di botte, legandogli le mani e colpendolo con raffiche di pugni alla pancia. Lo faceva spesso, ma le ultime due aggressioni erano state così violente da squarciargli l’intestino, causargli lesioni polmonari, al pancreas, ai reni. A un soffio dall’ucciderlo. Difeso dall’avvocato Basilio Foti l’uomo non ha risposto all’interrogatorio di garanzia. Ma ora ha intenzione di parlare davanti al pm. Doveva dire così, il bambino: “Sono inciampato e rotolato, poi ho pianto. Mamma mi ha dato acqua e zucchero, è andata al lavoro e io sono rimasto con papà. Papà è bravo. Abbiamo guardato la televisione. Io ero stanco e ho mangiato i biscotti. Quando mamma è tornata le ho detto che stavo male e lei ha chiamato l’ambulanza”.
Indottrinato a mentire ai medici
Non doveva dire che era stato picchiato, “Se no ti portano via e non ti vediamo più”. In cambio però “Ti compreremo dei giochi, la play, tutto quello che vuoi. Potrai andare alle giostre”. Ma non era plausibile, quella versione. I medici l’avevano capito che tutti quei lividi sulla sua pancia gonfia non erano compatibili con una caduta. Così avevano segnalato il fatto in Procura. Ed erano state disposte intercettazioni. La donna però negava, proteggendo il compagno. Solo quando l’uomo è stato portato in carcere come aggravamento della misura cautelare dei domiciliari per via Roma (il pm Paolo Scafi aveva fatto ricorso, vincendolo), la donna ha trovato il coraggio di confessare. Ed è emersa una storia terribile.
“Ti uccido, oggi ti uccido”
C’erano registrazioni in cui il compagno spaventava il bambino, ripetendo le battute del film horror “It”: “Ti uccido, oggi ti uccido”. La sua vita dipendeva da lui. Lo picchiava senza motivo. Arrivava a punirlo mettendolo sul balcone al freddo ancora bagnato dalla doccia. Sentito in forma protetta, il piccolo aveva ammesso: “Lui mi ha picchiato”. Aveva mimato i pugni, indicando la pancia, “ha fatto male anche alla mamma”. Anche le insegnanti erano preoccupate. Il bimbo “si addormentava. Era sempre pallido e malaticcio”, troppo magro. Una volta aveva vomitato e supplicato le maestre di non dirlo perché era stato costretto dal patrigno a mangiare del sale: aveva già vomitato e lui l’aveva sgridato. “Mi hanno detto di non dirlo a scuola se no mi portano in un posto abbandonato”. La madre era succube e aveva paura. Anche lei veniva picchiata, anche quando era rimasta incinta. Con il pancione di 7 mesi, lui l’aveva colpita alla schiena, aveva perso sangue. Un’altra volta le aveva spaccato il naso. Ma ora che era in carcere non poteva più far loro del male. Dopo il suo racconto è stato riarrestato: l’accusa del pm Enzo Bucarelli, è tentato omicidio e maltrattamenti al bimbo e alla compagna.