Blitz contro il traffico di droga, tra gli arrestati anche un funzionario dell’Agenzia delle dogane (NOMI)

In passato, la persona in questione avrebbe collaborato innumerevoli volte con la Guardia di finanza in occasione dei tanti sequestri di sostanza stupefacente effettuati
traffico di droga

C’è anche un funzionario dell’Agenzia delle dogane tra le persone arrestate stamattina nell’operazione della Guardia di finanza, accusate di avere gestito un traffico internazionale di sostanze stupefacenti, con l’aggravante delle modalità mafiose, che avrebbe avuto come base logistica il porto di Gioia Tauro (LEGGI QUI). In passato, la persona in questione avrebbe anche collaborato innumerevoli volte con la Guardia di finanza in occasione dei tanti sequestri di sostanza stupefacente effettuati. Per 34 delle 36 persone destinatarie dell’ordinanza di custodia cautelare disposta la custodia cautelare in carcere, mentre due sono finiti ai domiciliari. Sequestrati, inoltre, beni mobili ed immobili per un valore di sette milioni di euro. Tra i beni sequestrati c’è il patrimonio aziendale di due imprese del settore dei trasporti.

La struttura dell’organizzazione

La struttura dell’organizzazione

L’organizzazione, che avrebbe assicurato la logistica del narcotraffico come se fosse una vera e propria società di servizi, era articolata su tre distinti livelli di soggetti coinvolti: esponenti delle principali famiglie di ‘ndrangheta, in grado di garantire l’importazione delle partite di cocaina in arrivo dal Sudamerica; coordinatori delle squadre di operai portuali infedeli che avrebbero retribuito la squadra con una parte della “commissione”, variabile tra il 7 e il 20% del valore del carico, ricevuta dai committenti (le dazioni ricostruite ammonterebbero ad oltre 7 milioni di euro); operatori portuali materialmente incaricati di estrarre la cocaina dal container “contaminato” e procedere all’esfiltrazione dello stesso verso luoghi sicuri.

Come operava

L’attività ha permesso di rilevare la dettagliata organizzazione dei narcotrafficanti, soliti comunicare con telefoni cellulari criptati. Dalla minuziosa ricostruzione sarebbe emerso che, dopo l’indicazione ai referenti locali da parte dei fornitori sudamericani del nominativo della nave in arrivo e del contenitore con la sostanza stupefacente, l’importazione passava sotto la supervisione dei dipendenti portuali coinvolti, i quali si attivavano affinché il container “contaminato” venisse sbarcato al momento opportuno e posizionato in un luogo convenuto.

Avuta la disponibilità dello stesso, la squadra di portuali infedeli provvedeva quindi a collocarlo in un’area “sicura”, appositamente individuata, per consentirne l’apertura e, quindi, lo spostamento del narcotico in un secondo container (abitualmente indicato dagli indagati come “uscita”) ritirato, nelle ore successive, da un vettore compiacente e trasportato nel luogo indicato dai responsabili dell’organizzazione. È proprio la ricostruzione della complessa fase dello spostamento dei container all’interno del porto che avrebbe dunque consentito di disvelare la modalità utilizzata dai portuali per il trasbordo dello stupefacente, da loro stessi denominata sistema del “ponte”.

Nello specifico, individuata l’area di sbarco idonea allo scopo, il contenitore “contaminato” veniva posizionato difronte al contenitore “uscita”, lasciando trai due la sola distanza necessaria all’apertura delle porte per lo spostamento della merce illecita. Al di sopra dei due container, quindi, ne veniva adagiato un terzo, denominato appunto “ponte”, con lo scopo di celare, anche dall’alto, i movimenti nell’area sottostante.
Una volta allestita l’area, al fine di non destare sospetti, i portuali infedeli venivano trasportati sul luogo delle operazioni, nascosti all’interno di un quarto contenitore, che veniva adagiato nella medesima fila ove era stata allestita la struttura.

Evitare l’intralcio delle operazioni illecite

Infine, per evitare che soggetti estranei ai fatti intralciassero le operazioni illecite, due straddle carrier (veicoli speciali adoperati per la movimentazione dei container), condotti dagli indagati, stazionavano ai lati della fila di contenitori ove era stato costruito il ponte, per impedirne l’accesso e monitorare, dall’alto, l’eventuale arrivo delle Forze dell’Ordine.

Applicati sigilli contraffatti

Terminate le operazioni, dunque, ai container venivano applicati sigilli contraffatti. A quello proveniente dal Sud America veniva apposto un sigillo “clone”, spedito dalla stessa organizzazione fornitrice ed occultato all’interno di uno dei colli contenenti la sostanza stupefacente, mentre al container “uscita” veniva apposto un sigillo fasullo, predisposto dalla compagine criminale incaricata del recupero del narcotico.

In carcere

In particolare, sono finiti in carcere:

  • Vincenzo Giuseppe Albanese;
  • Galliano Aseo;
  • Salvatore Bagnoli;
  • Domenico Bartuccio;
  • Rosario Bonifazio;
  • Vincenzo Brandimarte;
  • Salvatore Cananzi;
  • Salvatore Copelli;
  • Alessandro Cutrì;
  • Salvatore Dell’Acqua;
  • Girolamo Fazari;
  • Santi Fazio;
  • Roberto Ficarra;
  • Francesco Giovinazzo;
  • Domenico Gulluni;
  • Domenico Iannaci;
  • Rocco Iannizzi;
  • Vincenzo Larosa;
  • Domenico Longo;
  • Giuseppe Papalia;
  • Renato Papalia;
  • Damiano Rosarno;
  • Pasqualino Russo;
  • Pasquale Sergio;
  • Antonio Sciglitano;
  • Filippo Strano;
  • Nazareno Valente,
  • Antonio Zambara;
  • Franco Barbaro;
  • Antonio Bruzzaniti;
  • Bartolo Bruzzaniti;
  • Bruno Carbone;
  • Domenico Cutrì;
  • Raffaele Imperiale
  • Ai domiciliari

    Disposti i domiciliari, invece, per Francesco Gullace e Michele Silvano Mazzeo.

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