Braccianti schiave nei campi calabresi tra stupri e bimbi nelle cassette

"La prescelta se rifiuta di far sesso non lavora. A volte si inizia alle due o alle tre di notte. Devo stare sempre piegata, sono incinta è faticoso"

Braccianti, operatrici, ricercatori, psicologhe, sindacaliste. Tutte raccontano come le molestie sessuali, i ricatti, le paghe da fame, le liste nere dei caporali siano un fenomeno radicato anche nell’Arco Ionico, l’area che comprende le provincie di Matera, Taranto e Cosenza. Una vasta zona del Sud Italia dove il clima e la terra fertile favoriscono le coltivazioni di ortofrutta, dalle fragole all’uva da tavola fino agli agrumi. Storie di donne sfruttate e molestate raccolte dalla ong Actionaid Italia in un rapporto pubblicato oggi dal titolo “Cambia. Dall’invisibilità al protagonismo delle donne in agricoltura”. Sono le donne a essere richieste per garantire maggiore cura per le stagioni di raccolta e lavorazione della frutta più delicata. Sono le donne, soprattutto le straniere originarie della Romania e Bulgaria, a vedere violati i propri diritti più elementari.

Quando sei incinta diventa faticoso

Quando sei incinta diventa faticoso

“Guadagno trentotto euro al giorno. Chi riesce lavora senza interruzioni, dal lunedì alla domenica. Gli uomini ricevono due euro in più all’ora perché hanno compiti più pesanti. Stamattina mi sono alzata presto, cominciamo alle sei: prepariamo il terreno per piantare le fragole, lo concimiamo. Devo stare sempre piegata e adesso che sono incinta è faticoso. Mi sento sfiancata, però sono obbligata ad andarci, ho bisogno di soldi”, racconta Catalina, lavoratrice rumena in Basilicata. È una delle 119 donne impiegate in agricoltura di origine rumena e bulgara intervistate e incontrate per il rapporto ActionAid realizzato nell’ambito del programma che dal 2016 si occupa di indagare e intervenire sulle condizioni di vita e di lavoro delle donne in agricoltura in Puglia, Basilicata e Calabria per tutelare i loro diritti.

Donne invisibili e lavoro sottopagato

Non esistono dati certi sul numero di operaie agricole in Italia, spiega la ong guidata in Italia da Marco De Ponte. Il fenomeno del lavoro nero caratterizza il settore agricolo attraverso reclutamento illecito, irregolarità contrattuali o la totale assenza di un contratto di lavoro e la conseguente assenza di previdenza e protezione sociale. “In agricoltura si lavora ancora in schiavitù”, aggiunge M. da 37 anni nei campi. A peggiorare la vita delle donne sono le disuguaglianze strutturali di genere, come la disparità salariale tra donne e uomini. Nelle campagne le donne arrivano a guadagnare anche solo 25/28 euro al giorno mentre gli uomini ne ricevono 40.

Le molestie e le violenze sessuali

“Nel barese, da anni va avanti un metodo collaudato. La mattina, quando nelle piazze arrivano i furgoni per portare le operaie agricole nei campi, la “prescelta” viene fatta salire davanti, nello spazio accanto al guidatore. Sul cruscotto vengono messi un cornetto e un caffè caldo, comprati al bar. Mangiare la colazione significa accettare l’avances sessuale e quindi ottenere l’ingaggio. Rifiutando, invece, il giorno dopo si viene lasciate a casa”, spiega Annarita Del Vecchio, psicologa e collaboratrice di ActionAid in Puglia. Le donne in agricoltura sono esposte a violenza e molestie sui luoghi di lavoro, sui mezzi di trasporto che le conducono sui campi, negli alloggi. La violenza è esercitata in molteplici forme (verbale, fisica, psicologica e sessuale) ed è accompagnata da minacce, come quella di perdere il posto, di essere demansionata o non pagata. Reagire può significare finire nelle “liste nere”.

Bimbi lasciati ad estranei nel cuore della notte

Adriana, ex bracciante rumena, è una delle leader comunitarie di ActionAid. “Uno dei problemi di cui non si parla è quello della maternità: la gestione dei figli è davvero difficile per le lavoratrici agricole. Quando la campagna inizia presto, alle due o alle tre di notte, prendono i bambini addormentati e, se non hanno familiari di riferimento, li portano a casa di estranee che ne accudiscono cinque, sei, o dieci nelle loro case. Li tengono fino a quando le madri non tornano a prenderli, il pomeriggio. Mandarli all’asilo non è possibile, l’orario non lo permette”. In Calabria esistono gli “asili nido irregolari”, servizi a pagamento, in nero, con personale senza alcuna formazione che si occupa dei piccoli fino all’arrivo dei genitori. E qualcuna si porta i figli nelle serre, facendoli dormire in cassette di legno. Sono queste le difficoltà raccontate dalle donne ad ActionAid: senso di isolamento, impossibilità ad accedere ai servizi pubblici e ai servizi di cura per i figli perché pochi, distanti, costosi e con orari incompatibili con quelli degli spostamenti da casa e lavoro che possono durare anche tre o quattro ore al giorno.

Modello agricolo non sostenibile

In Puglia, Basilicata e Calabria, ActionAid dal 2016 ha avviato un programma in risposta alle molteplici forme di violazioni dei diritti umani delle donne lavoratrici, fondato sul protagonismo delle operaie agricole e sulla costruzione di risposte sostenibili alle loro esigenze, attraverso forme di collaborazione e di responsabilità condivisa a livello comunitario. Un impegno che coinvolge istituzioni, sindacati, associazioni locali, imprese agricole, associazioni di datori di lavoro, partner della società civile per produrre un cambiamento concreto nella vita delle donne braccianti. “Il modello agricolo attuale non è sostenibile, né per le lavoratrici a rischio o in condizioni di sfruttamento, né per le tante imprese che rispettano le regole nonostante le molte difficoltà che il mercato e la concorrenza sleale impone loro”, spiega Grazia Moschetti, responsabile dei progetti ActionAid nell’Arco Ionico. “Solo con il contributo di tutti – come sta accadendo nell’Arco ionico – possiamo coltivare relazioni positive dentro e fuori i luoghi di lavoro. Le operaie agricole non possono più essere escluse o lasciate ai margini degli interventi delle istituzioni, ad oggi attuati senza una chiara prospettiva di genere. Continuare a farlo significa non mettere fine deliberatamente alle violazioni dei diritti e alle violenze che subiscono”.

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