Bronzi, quel giorno di 47 anni fa che donò un tesoro a Riace e al mondo intero

di Vincenzo Imperitura 

Dormivano da secoli a poche decine di metri dalla battigia davanti alle coste di Riace: sepolti dallo Jonio dove erano affondati –  precursori ante litteram degli sventurati che oggi affrontano il mare –  le due statue bronzee diventate simbolo della grandezza dell’arte classica, sono riemerse dal mare in un pomeriggio di 47 anni anni fa. Era il 16 agosto del 1972 quando Stefano Mariottini, un pescatore subacqueo dilettante in vacanze nel reggino, scrisse alla sovrintendenza archeologica di Reggio Calabria di avere scoperto «un gruppo di statue, presumibilmente di bronzo. Le due emergenti rappresentano delle figure maschili nude, l’una adagiata sul dorso, con viso ricoperto di barba fluente, a riccioli, a braccia aperte e con una gamba sopravanzata rispetto all’altra. L’altra statua risulta coricata su di un fianco con una gamba ripiegata e presenta sul braccio sinistro uno scudo. Le statue sono di colore bruno scuro salvo alcune parti più chiare, si conservano perfettamente, modellato pulito, privo di incrostazioni evidenti. Le dimensioni sono all’incirca di 180 cm».

Dormivano da secoli a poche decine di metri dalla battigia davanti alle coste di Riace: sepolti dallo Jonio dove erano affondati –  precursori ante litteram degli sventurati che oggi affrontano il mare –  le due statue bronzee diventate simbolo della grandezza dell’arte classica, sono riemerse dal mare in un pomeriggio di 47 anni anni fa. Era il 16 agosto del 1972 quando Stefano Mariottini, un pescatore subacqueo dilettante in vacanze nel reggino, scrisse alla sovrintendenza archeologica di Reggio Calabria di avere scoperto «un gruppo di statue, presumibilmente di bronzo. Le due emergenti rappresentano delle figure maschili nude, l’una adagiata sul dorso, con viso ricoperto di barba fluente, a riccioli, a braccia aperte e con una gamba sopravanzata rispetto all’altra. L’altra statua risulta coricata su di un fianco con una gamba ripiegata e presenta sul braccio sinistro uno scudo. Le statue sono di colore bruno scuro salvo alcune parti più chiare, si conservano perfettamente, modellato pulito, privo di incrostazioni evidenti. Le dimensioni sono all’incirca di 180 cm».

IL MISTERO DEI BRONZI

Una scoperta clamorosa che renderà Mariottini piuttosto ricco e che segnerà una “bronzi mania” capace in pochi mesi di coinvolgere l’intero Paese; una mania che si allargò a macchia d’olio all’Europa e al resto del mondo, con code chilometriche di turisti da ogni parte del globo, in fila per ammirare i guerrieri di bronzo esposti prima a Firenze – dove rimasero tre anni per le delicatissime opere di restauro – e poi, su richiesta esplicita dell’allora Presidente Sandro Pertini, nelle cinquecentesche sale del Quirinale a Roma, prima del loro approdo definitivo al museo archeologico di Reggio Calabria. Una scoperta nata (forse) per caso e che portò quasi immediatamente ad una prima battaglia legale sul reale scopritore delle statue. Accanto a quella del sub romano infatti, la guardia di finanza raccolse la denuncia di rinvenimento da parte di un gruppo di ragazzini del posto che si sarebbero imbattuti nelle statue durante una battuta di pesca. I giudici diedero comunque ragione a Mariottini (ritenuto il primo a denunciare il ritrovamento) ma i dubbi su quello che realmente successe in quel pomeriggio di quasi mezzo secolo fa, restano. Anche perché la storia dei due guerrieri colossali (entrambe le statue sfiorano i due metri d’altezza) è ammantata di misteri: storie di statue scomparse e rivendute agli americani, bisbigli su presunte combine tra lo scopritore ufficiale e gli uffici della sovrintendenza e voci di saccheggi organizzati nelle notti tra la scoperta e il recupero delle statue. Voci che non hanno portato mai a nulla di concreto ma che hanno contribuito a rendere ancora più avvincente la leggenda dei due guerrieri riemersi dal mare di Omero. E poi i dubbi sulla reale provenienza delle statue: fuse alla scuola di Fidia ed esposte sulla strada per l’oracolo a Delfi, assemblati da artisti del Peloponneso dai Locresi della madre patria in Grecia, o ancora (come sostiene da anni l’architetto e fondatore del Musaba, Nick Spatari) di fattura Magno Greca ed Etrusca. Un mistero che sembra dover rimanere tale e che si aggiunge a quello legato a chi rappresentino veramente i due guerrieri, sospesi nei giudizi degli esperti, tra eroi mitologici, demoni sanguinari o semi Dei votati alla guerra.

IL PARADOSSO DI RIACE

E Riace? Per il piccolo centro jonico, protagonista negli ultimi due decenni di un modello di accoglienza studiato e invidiato in mezzo mondo (e che ovviamente è caduto sotto la scure del ministero dell’Interno), i bronzi hanno segnato un picco di notorietà mondiale senza pari, ma in concreto, poco o nulla è cambiato per gli abitanti. Per evidenti motivi di opportunità e sicurezza infatti i due guerrieri di bronzo non sono mai stati esposti nel paesino che li ha visti rinascere dal mare e, passata la sbornia iniziale per la sensazionale scoperta archeologica, anche i pochi turisti che inizialmente si affacciavano in questo pezzetto di Calabria, hanno smesso di seguire le tracce dei due giganti di bronzo, limitandosi alle visite nella sala asettica e a prova di terremoto che li conserva all’interno del museo di Reggio. A Riace rimangono, grazie ad un’intuizione dell’ex sindaco Mimmo Lucano, le due sagome vuote dei guerrieri, ritagliate nel ferro da un artista un po’ visionario, che stanno lì, proprio nella piazzetta del municipio, a simboleggiare un’assenza che, nonostante tutto, si riempie di significati.

(NELLA FOTO IL CRONISTA TOTO’ DELFINO, UNICO GIORNALISTA PRESENTE AL MOMENTO DEL RECUPERO)

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