di Giovanni Caglioti – Covid-19, viene dalla Cina, così dicono. Dalla Cina, precisamente da Whuan, 11 milioni di abitanti, epicentro industriale della seconda potenza economica mondiale, metropoli moderna con mezzi di comunicazione tecnologici e infrastrutture super moderne.
La città delle opportunità, grandi ristoranti, le migliori boutique dell’alta moda, un mix tra tradizione e innovazione. Molti pensando a Whuan, distante da noi solo 4 mila km, qualche mese fa in occasione dell’epidemia di coronavirus, la immaginavano come una città disastrata, un po’ come una “favelas” della Cina centrale. Poi arrivò Covid-19 in Italia, precisamente in Lombardia e la curiosità ci spinse a ricercare Whuan attraverso il nostro motore di ricerca per eccellenza, Google. Ed è lì che ci accorgiamo, vediamo coi nostri occhi, che proprio la città natale di Covid-19 non è da meno rispetto a New York, Tokyo, Los Angeles e le altre capitali europee, forse una, spanna sopra. 76 giorni di lockdown, ovvero chiusura totale, lasciando aperti solo le attività essenziali, sono appunto i giorni che la metropoli cinese di 11 milioni di abitanti ha dovuto subire per eliminare il covid-19 dalla scena. 76 giorni dopo, Whuan riprende lentamente la sua vita, le sue abitudini, le proprie dinamiche con le nuove regole e restrizioni. A fatica certo, ma i cinesi di Whuan si stanno riprendendo la loro vita, quella prima del virus. Il primo di Marzo del 2020 è una data da ricordare per la nostra regione, è il giorno in cui viene ufficializzato il primo caso di Covid-19. Un 69enne, proveniente in autobus dal nord Italia di Cetraro. Si, dal Nord, perché proprio dal nord inizia l’esodo di molti nostri conterranei verso le loro famiglie d ‘origine. Da qui, tutto ebbe inizio.
La città delle opportunità, grandi ristoranti, le migliori boutique dell’alta moda, un mix tra tradizione e innovazione. Molti pensando a Whuan, distante da noi solo 4 mila km, qualche mese fa in occasione dell’epidemia di coronavirus, la immaginavano come una città disastrata, un po’ come una “favelas” della Cina centrale. Poi arrivò Covid-19 in Italia, precisamente in Lombardia e la curiosità ci spinse a ricercare Whuan attraverso il nostro motore di ricerca per eccellenza, Google. Ed è lì che ci accorgiamo, vediamo coi nostri occhi, che proprio la città natale di Covid-19 non è da meno rispetto a New York, Tokyo, Los Angeles e le altre capitali europee, forse una, spanna sopra. 76 giorni di lockdown, ovvero chiusura totale, lasciando aperti solo le attività essenziali, sono appunto i giorni che la metropoli cinese di 11 milioni di abitanti ha dovuto subire per eliminare il covid-19 dalla scena. 76 giorni dopo, Whuan riprende lentamente la sua vita, le sue abitudini, le proprie dinamiche con le nuove regole e restrizioni. A fatica certo, ma i cinesi di Whuan si stanno riprendendo la loro vita, quella prima del virus. Il primo di Marzo del 2020 è una data da ricordare per la nostra regione, è il giorno in cui viene ufficializzato il primo caso di Covid-19. Un 69enne, proveniente in autobus dal nord Italia di Cetraro. Si, dal Nord, perché proprio dal nord inizia l’esodo di molti nostri conterranei verso le loro famiglie d ‘origine. Da qui, tutto ebbe inizio.
Oggi, 25 aprile, festa della Liberazione Nazionale, in Calabria si registrano 1079 casi di Covid-19 accertati, 80 decessi, e 178 guariti. Questi sono i numeri ufficiali dell’emergenza sanitaria, parallelamente a questi, corrono i numeri dell’emergenza economica, la più grave dal dopo guerra ad oggi. Perché è ormai noto, Covid-19 è un virus aggressivo, letale come dimostrano i numeri non solo sulle vite umane, ma anche sul tessuto economico e sociale, provocando danni incalcolabili e variabili rispetto alle realtà in cui si manifesta. Oggi Whuan metropoli da 11 milioni di abitanti con un economia 30 volte superiore a quella della nostra regione risale la china velocemente, in Calabria, invece, una delle regioni più depresse dell’Unione Europea, i danni saranno incalcolabili e prolungati nel tempo. Il lockdown imposto, seppur giusto per contenere la diffusione del virus, sta lasciando strascichi devastanti nel tessuto economico e sociale della nostra terra, il commercio è letteralmente in ginocchio, così come il turismo di una estate ormai alle porte appare compromesso in ogni sua componente. Le attività, affini ad esse, di ricezione e ristorazione vivono nella ricerca disperata di una speranza che possa risollevarne le sorti. Come i numeri sanitari dimostrano, Covid-19 è letale nei casi in cui il soggetto abbia altre patologie croniche concomitanti. Bene, la Calabria, il nostro paziente, presenta al contagio più patologie croniche che influiranno sulla guarigione.
Oggi, 25 aprile, è la festa della Liberazione Nazionale, non sapremo quando potremo festeggiare la liberazione da COVID-19, ma una cosa è certa, la Calabria con le sue patologie pregresse rischia di capitolare, rischia di aumentare notevolmente quel divario sociale tra i cittadini annientando verosimilmente un ceto medio che a breve cadrà in povertà. Perché Covid-19 e le sue pregresse patologie annienteranno molte attività che non avranno più la forza di poter riaprire, annienteranno con essi centinaia di migliaia di posti di lavoro, con una crescita esponenziale della disoccupazione difficile da poter colmare nel ii breve periodo. Mentre Covid-19, erode vite umane e solca un tracciato profondo dal punto di vista economico e sociale, l’irresponsabilità della classe politica calabrese, che si limita oggi a fronteggiarlo a suon di ordinanze, manifesta senza giustificazione di sorta da 50 anni e più il mal governo della cosa pubblica. Perché la Calabria di fatto è un castello di sabbia, un palazzo senza fondamenta, senza certezze, fondata sul barlume di clientelismo, dove la carenza di opere infrastrutturali durante la ripresa peseranno come macigni e accentueranno quel divario sociale e quello storico divario nord-sud. Ed è proprio nei prossimi mesi, quelli in cui saremo tutti chiamati a ricostruire che Covid-19 non sarà stata la causa ma la concausa di problemi di salute mai risolti e sempre aggravati dall’irresponsabilità della politica.