Vietare il commercio in Italia di carne coltivata, erroneamente chiamata “sintetica” – prodotta in laboratorio mediante riproduzione di cellule staminali di animali – è una scelta che non corrisponde agli interessi del pianeta, degli animali e della popolazione. E’ quanto sostiene l’organizzazione internazionale Peta (People for ethical treatment of animals) che, in occasione della Giornata Mondiale della Terra, che si celebra oggi, ha scritto una lettera aperta al governo italiano – in particolare al premier Giorgia Meloni e al ministro per le Politiche agricole Francesco Lollobrigida – per sostenere i motivi del “sì” alle nuove metodologie di produzione. Una opportunità che consententirebbe di evitare conseguenze a livello di inquinamento, di consumo del suolo e di utilizzo di risorse che, invece, gli allevamenti intensivi comportano. Di seguito, il testo della missiva – riportata dal Corriere della Sera – firmata da Mimi Bekhechi, vicepresidente Peta per Europa, Regno Unito e Australia.
“Ridurre i danni ambientali”
“Ridurre i danni ambientali”
“Egregio Presidente, Onorevole Ministro,
Vi scrivo per conto di People for the Ethical Treatment of Animals (Peta), le cui entità hanno più di 9 milioni di membri e sostenitori a livello globale, inclusi molti in Italia. Siamo preoccupati per il disegno di legge che vieta la produzione di carne coltivata in laboratorio nel territorio italiano, in quanto essa può svolgere un ruolo importante nel ridurre i danni ambientali e i rischi per la salute pubblica. Vi esortiamo a ritirare il disegno di legge e a incentivare un futuro consapevole e orientato al benessere del pianeta.
La carne coltivata ha il potenziale di ridurre drasticamente il cambiamento climatico. Allevare animali per l’alimentazione richiede enormi quantità di terreno, cereali e acqua. L’agricoltura animale è anche una delle principali fonti di emissioni di anidride carbonica, protossido di azoto e metano, gas che hanno un ruolo importante nel riscaldamento globale. Poiché la carne coltivata non cresce sul corpo di un animale, il suo impatto è notevolmente inferiore rispetto a quello della carne convenzionale. Infatti, si stima che la produzione industrializzata di carne coltivata possa generare l’87% in meno di emissioni di gas serra, il 90% in meno di utilizzo del suolo e il 96% in meno di impiego di risorse idriche”.
“La carne coltivata è molto più sicura”
“La carne prodotta in laboratorio – si legge ancora nella lettera indirizzata al governo italiano – è anche molto più sicura per la salute umana. Il morbo della mucca pazza e l’influenza aviaria, per esempio, non possono diffondersi in un laboratorio in vitro nel modo in cui possono farlo in un allevamento intensivo. E la carne coltivata è priva di antibiotici così diffusi nella gran parte della carne animale. Stipati insieme in capannoni, agli animali negli allevamenti vengono somministrate massicce dosi di antibiotici per mantenerli in vita. Ma il pericolo rappresentato dalla crescente resistenza agli antibiotici è stato definito una “bomba a orologeria”. Ovviamente, in un laboratorio, questo problema non sussisterebbe.
Dare spazio alla carne coltivata in laboratorio rispetto alla carne convenzionale salverebbe gli animali la cui sofferenza è innegabile, sia in Italia che nel resto del mondo, sfruttati come pezzi di una catena alimentare. Numerose indagini sotto copertura hanno dimostrato che la carne e i latticini “Made in Italy” sono permeati degli stessi abusi, crudeltà e abbandono che abbiamo visto in altri Paesi. Naturalmente, oltre ad accogliere l’adozione di carne coltivata, il governo italiano può e deve impegnarsi di più per promuovere gli alimenti a base vegetale e sostenere i numerosi coltivatori ortofrutticoli che forniscono alla nazione cibi sostenibili, sani e cruelty-free in grado di rendere la cucina italiana famosa e amata da tutti a livello globale”.
L’appello di Peta
“Vi esortiamo – conclude Mimi Bekhechi, vicepresidente Peta per Europa, Regno Unito e Australia – a modificare la vostra politica alimentare per accogliere le innovazioni rispettose del pianeta, come la carne coltivata, e a sostenere gli alimenti vegetali che sono ottimali per la salute, gentili verso gli animali e migliori per l’ambiente. Vi ringrazio per il vostro tempo e la vostra attenzione. Resto a disposizione per qualsiasi domanda o necessità di approfondimenti”.
Gli allevamenti intensivi
Gli allevamenti intensivi di animali, secondo quanto riferito da centinaia di studi sul tema, contribuiscono alla produzione di gas serra, al consumo dell’acqua potabile e allo sfruttamento del suolo. Di tutti i sistemi umani che utilizzano a proprio beneficio le risorse naturali, il maggior responsabile della crisi ecologica che stiamo affrontando è quello alimentare. In primis la filiera della carne – come riportato dal sito dell’associazione ambientalista italiana Wwf – di cui gli allevamenti intensivi sono da soli responsabili del 14,5% delle emissioni totali di gas serra, utilizzano circa il 20% delle terre emerse come pascolo e il 40% dei terreni coltivati per la produzione di mangimi. Gli animali commerciati o allevati insostenibilmente sono, inoltre, pericolose fonti di malattie zoonotiche, gravi minacce per il Pianeta e per la nostra stessa specie.
Ogni anno – si legge ancora sul report dell’associazione – vengono macellati a scopo alimentare 50 miliardi di polli, di cui circa il 70% allevati in maniera intensiva. Tra i mammiferi, le proporzioni sono ancora più impressionanti: il 60% del peso dei mammiferi sul Pianeta è costituito da bovini e suini da allevamento, il 36% da umani e appena il 4% da mammiferi selvatici. La quantità di carne prodotta è oggi quasi cinque volte maggiore di quella dei primi anni ‘60: in media nel mondo oggi si consumano 34,5 kg di carne a testa l’anno, ma con grandi differenze tra i Paesi. In Italia il consumo medio è di quasi 80 kg a testa quando 60 anni fa erano appena 21 kg.
“Prima che sia troppo tardi”
“La nostra stessa sopravvivenza su questo Pianeta ci pone oggi l’obbligo, prima che sia troppo tardi, di ripensare il nostro sistema alimentare globale a partire dagli allevamenti intensivi. Oggi se vogliamo dare un futuro al Pianeta non basta più pensare ad abbattere le emissioni di CO2, dobbiamo ridurre le “emissioni” del sistema food che sono deforestazione, perdita di biodiversità, inquinamento e distruzione di ecosistemi”. Così Isabella Pratesi, direttore Conservazione del WWF Italia. Il sistema agroalimentare, entrato negli ingranaggi voraci di sistemi economici ed industriali globali, si è trasformato in un letale nemico di foreste, oceani, biodiversità e, non ultimo, della nostra stessa salute”.