Catanzaro Calcio all’anno zero, mentre i tifosi…Aspettano Godot

di Danilo Colacino – Uesse Catanzaro, anno zero. Come? Ma che significa? Semplice, che in questa città non è più dato fare calcio. Ma da decenni, ormai. Da quando cioè la clessidra si è rotta, fermando la ‘giostra’ al periodo in cui era ancora più o meno in piedi il Muro di Berlino. Sarà l’ambiente, saranno i tempi, sarà il destino cinico e baro…Fatto sta che gli Dei del Pallone hanno deciso: in cima ai Tre Colli si è dovuto ‘sbaraccare’ a fine anni Ottanta, salvo poi vivere di ricordi e false illusioni come tocca ai vecchi playboy ormai in disarmo per via dell’incedere dell’età. Sì, proprio così, perché da quella maledettissima promozione in A (peraltro l’ennesima nell’arco di un ventennio scarso) sfiorata (o scippata, fate voi, tanto i termini si ‘assomigliano’ pure) con mister Vincenzo Guerini in panca, sulle emozioni calcistiche vere nel capoluogo è calato il sipario. Da allora, insomma, niente, nulla, nisba. Buio assoluto con l’eccezione di una risalita fra i Cadetti, che a conti fatti ha fruttato la sola gioia dell’estate 2004 prima della ridiscesa agli inferi condito da due stagioni sportivamente farsesche.

Il Regno dell’Ade a tinte giallorosse si chiama dunque Serie C, categoria che qualcuno sui social ha persino definito l’habitat più consono a una società (non a una proprietà, sia ben chiaro) incapace di finanziare un campionato di maggiore caratura per mancanza di introiti adeguati. Cosa? Certo, perché mentre ai Ceravolo, ai Merlo, agli Albano e ai Soluri di turno oltre a qualche altro, si è chiesto il sacrificio personale, da Cosentino in avanti anche sugli spalti si è iniziato a guardare ai bilanci. Tutto giusto e perfetto, per carità. Fin troppo facile, infatti, impersonare il ruolo dei ricchi epuloni con la bocca e, soprattutto, i denari degli altri. Il tifo ai tempi della crisi, dunque, declinato con un occhio al campo e uno al Libro Mastro dei costi e dei ricavi.

Il Regno dell’Ade a tinte giallorosse si chiama dunque Serie C, categoria che qualcuno sui social ha persino definito l’habitat più consono a una società (non a una proprietà, sia ben chiaro) incapace di finanziare un campionato di maggiore caratura per mancanza di introiti adeguati. Cosa? Certo, perché mentre ai Ceravolo, ai Merlo, agli Albano e ai Soluri di turno oltre a qualche altro, si è chiesto il sacrificio personale, da Cosentino in avanti anche sugli spalti si è iniziato a guardare ai bilanci. Tutto giusto e perfetto, per carità. Fin troppo facile, infatti, impersonare il ruolo dei ricchi epuloni con la bocca e, soprattutto, i denari degli altri. Il tifo ai tempi della crisi, dunque, declinato con un occhio al campo e uno al Libro Mastro dei costi e dei ricavi.

Nulla di sconcertante, se non fosse però che ci sarebbe a nostro avviso spazio per una considerazione: non si sta esattamente parlando di un’azienda identica a qualunque altra. Naturale, trattasi sempre di un’impresa legata agli investimenti di chi la gestisce e ne è patron, ma qui la sensazione è che non ci sia un problema di soldi. O meglio, non solo. Il guaio, ancora una volta a nostro sommesso parere, è che manchino in primis le risorse umane: un mix, nella parte dirigenziale e quindi non presidenziale, di cuore e competenza. Lungi da noi, però, tirare la volata a questa o quella vecchia gloria da mettere dietro a una scrivania anche perché se pensiamo all’attuale Milan targato Maldini e Boban o alla prima Inter morattiana dei vari Mazzola, Suarez e Corso, ci vengono i brividi.

Ecco allora che sottovoce indichiamo, semmai, di cominciare a liberarsi di gente inadeguata (soprattutto a livello tecnico, che di calcio ne sa quanto noi di fisica quantistica) collocata in posizione apicale soltanto perché direttamente legata ai vertici del club. Persone degnissime, ma sistemate al posto sbagliato nel momento sbagliato. Non dimenticando la pletora di yes man, che fanno più danni della grandine essendo incapaci di stigmatizzare gli errori e di confrontarsi con chi di dovere con la necessaria autorevolezza. Persone in grado di stigmatizzare le defaillance di chi comanda senza infingimenti e tentennamenti di sorta. ‘Merce rara’, lo sappiamo.

Ma lungi da noi voler dare consigli in un articolo di commento. Non ne abbiamo le credenziali. L’unico auspicio, in sostanza, è che il sogno così tanto a lungo cullato dai devoti (fino alla cecità) e calorosi tifosi delle Aquile non si trasformi in una delle più famose opere teatrali…dell’assurdo, ‘Aspettando Godot’ di Samuel Beckett. Un’attesa del protagonista della pièce purtroppo analoga a quella della risalita del Catanzaro per i suoi impareggiabili supporter, che sembrano udire: la B “oggi non verrà, ma verrà domani”. I fatti, siamo sicuri, si incaricheranno però di smentirci. E mai come stavolta non ne vediamo l’ora.

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