Cgil Area Vasta: “La Regione pensi al modello sanitario post coronavirus”

"Riteniamo - si legge in una nota del sindacato - che ci sia la necessità di una lotta antifascista quotidiana, a favore di un Paese democratico"

«Il Covid19 ci ha cambiato, lo ha già fatto , nel nostro modo di lavorare, di muoverci e di vivere, e rivoluzionerà il nostro futuro in modo permanente.

Eppure quello che non è ovviamente ancora cambiato è la percezione della sanità nel territorio». A intervenire ancora sulla situazione di emergenza regionale è la Cgil Area Vsta CZ-KR-VV. «Si tende, infatti, – dice la segreteria – a richiedere molteplici strutture vicine al luogo di residenza, a guardare agli ospedali come centri di cura globali, dove trovare risposte e cure per ogni patologia, da quelle acute a quelle croniche, da quelle da trauma a quelle tumorali. In altre parole non si riesce ad immaginare che possano e debbano esserci dei punti per l’emergenza, altri per la lungodegenza, altri invece specialistici e altri di ricerca e perfezionamento.

Eppure quello che non è ovviamente ancora cambiato è la percezione della sanità nel territorio». A intervenire ancora sulla situazione di emergenza regionale è la Cgil Area Vsta CZ-KR-VV. «Si tende, infatti, – dice la segreteria – a richiedere molteplici strutture vicine al luogo di residenza, a guardare agli ospedali come centri di cura globali, dove trovare risposte e cure per ogni patologia, da quelle acute a quelle croniche, da quelle da trauma a quelle tumorali. In altre parole non si riesce ad immaginare che possano e debbano esserci dei punti per l’emergenza, altri per la lungodegenza, altri invece specialistici e altri di ricerca e perfezionamento.

Proprio l’emergenza Covid19 in Calabria sta facendo emergere ed esplodere inefficienze e contraddizioni, nonché scelte politiche in merito al management in sanità in larga parte caratterizzate da palese inadeguatezza, in quanto avvenute per lo più “ad intuitu personae”, utilizzando strumentalmente i poteri speciali derivanti dalla lunga fase commissariale. Ma la colpa non è certo dei cittadini che legittimamente pretendono di avere diagnosi e cure degne di tale nome, ma è bensì frutto di decenni di mancata programmazione, di malaffare, di infiltrazioni mafiose e tagli devastanti che hanno interessato strutture e personale. Manca un serio confronto istituzionale e, i partiti, sulla scia di una crisi che appare quasi irreversibile, appaiono sospesi taluni delusi, altri appagati da risultati elettorali, ma comunque lontani dalla gente e dal mondo del lavoro.

Molti esercitano, in assenza di ruoli, il diritto di tribuna e si assiste a interventi che spesso alimentano campanilismi o rivendicazioni anacronistiche».

«Chiediamo – afferma ancora la segreteria – a gran voce la riapertura di strutture o di reparti, che eccellenti o perlomeno efficienti non lo sono stati mai, gli stessi ospedali o reparti di cui proprio gli stessi esponenti politici, magari transitati in altri schieramenti, hanno determinato a suo tempo la chiusura o la soppressione, con azioni omissive o con scelte diverse da quelle dell’interesse pubblico, quasi a voler mutuare la prassi salviniana che tanti danni ha causato a questo Paese ed al sud in particolare. Serve costruire insieme il nuovo modello di sanità del “dopo emergenza corona virus”, che dovrà basarsi su un modello efficiente e che assicuri adeguata copertura territoriale e basato su prevenzione, controlli, programmazione, specializzazione.

Il coronavirus non ha avuto finora in Calabria la virulenza di altre regioni.

Ma i dati calabresi sono evidentemente sottostimati, in quanto da giorni ormai il numero di tamponi effettuati è limitato, essendo da tempo terminate le scorte da tempo e gli approvvigionamenti lenti e insufficienti, anche solo per gli stessi operatori sanitari, pur in presenza di apposita ordinanza regionale. I dati comunicati dalla Protezione Civile parlano di una drastica riduzione dei contagi, ma al contempo di una medesima riduzione dei tamponi effettuati: in sostanza niente tamponi e quindi niente contagi, una sorta di politica dello struzzo assolutamente deprecabile. La Regione si faccia sentire: l’invio dei tamponi da Roma deve avvenire sulla base del personale sanitario in dotazione per quelli loro dedicati, e su base demografica per quelli destinati ai cittadini, e non sulla base dei casi di contagio accertati come avvenuto finora.

Ma da quando si sono registrati picchi di contagio come quello verificatosi nella casa di cura “Domus Aurea” di Chiaravalle, il sistema messo in campo dalla Regione è andato subito in tilt, accumulando ritardi, disfunzioni e disorganizzazione.

Secondo le linee guida e i relativi protocolli i pazienti positivi al COVID19 devono essere ricoverati in ospedali che svolgono funzioni di Hub. Nello specifico per la provincia di Catanzaro il Pugliese e il Policlinico Mater Domini. Eppure proprio dalla Regione erano stati inspiegabilmente indicati gli ospedali di Lamezia e di Soverato, generando prese di posizione da parte delle amministrazioni locali e rivendicazioni da parte dei familiari dei pazienti di cure e strutture adeguate e allo scopo. Sarebbe stato bello e forse pure normale – continua ancora – se anche l’ospedale di una città come Lamezia fosse stato nelle condizioni di ”agibilità” per rendersi parte attiva in questa delicata fase, e non ci sarebbero state motivazioni, oggi però drammaticamente valide, affinché non si realizzasse quella azione di sinergie istituzionali tra enti locali.

Le chiusure degli ospedali vanno evitate e vanno stigmatizzate anche gli atteggiamenti di chiusura delle amministrazioni locali di fronte a emergenze che dovranno vederci tutti insieme e coesi nel fare squadra, per realizzare quel sistema efficiente e solidaristico al quale tutti auspichiamo. Gli ospedali di Lamezia e Soverato dovranno essere oggetto di una attenta valutazione, perché la platea di cittadini che vi si rivolgono è vasta e riguarda un numero consistente di comuni.

Vanno quindi indubbiamente potenziati, invertendo la tendenza assolutamente non condivisibile di ridimensionamento che li ha finora riguardati. E occorre altresì adeguare la dotazione organica del personale.

Sapendo che in questa fase tutti siamo consapevoli che per i pazienti contagiati non servono semplici posti letto, magari riesumando strutture o reparti chiusi da tempo e quindi ormai privi di attrezzature e personale, ma Hub con unità dedicate dove possano ricevere cure adeguate in sicurezza per se stessi e gli operatori sanitari, scongiurando magari il rischio che proprio gli ospedali diventino focolai di contagio. Vista la sua debolezza strutturale, il sistema sanitario calabrese non reggerebbe il ripetersi di un caso analogo all’ospedale di Codogno». «Passata la fase emergenziale si dovrà ridefinirlo, potenziando e ammodernando le strutture esistenti e che sono state penalizzate dai tagli dei governi degli ultimi decenni, completando quelle in costruzione e avviando i lavori di quelle già approvate.

Ma non bastano nuove strutture, che magari nascano già superate nella logistica infrastrutturale da un iter di approvazione dei progetti che spesso si misura in lustri e non in mesi, serve nuovo personale, in aggiunta a quello esistente e non magari a parziale sostituzione.

Di conseguenza le scuole di specializzazione della facoltà di medicina di Catanzaro vanno difese, valorizzate e fatte oggetto di attenzione regionale e nazionale, perché alla Calabria serve oltre alla formazione per gli operatori sanitari, anche una spiccata competenza specialistica dei medici, e una serie opportunità di assunzioni a tempo indeterminato, per evitare che una volta formati i nostri infermieri, tecnici e medici siano costretti a cercare collocazione in altre regioni.

Occorre in altri termini evitare di restare intrappolati in logiche di carattere emergenziale, guardando al dito anziché alla luna, ma avere la lucidità di guardare in prospettiva così da supplire alla miopia politica di quanti, a vario titolo, dopo aver essi stessi determinato questa situazione disastrosa pretendono di indicare la soluzione per uscirne continuando a guardare indietro al passato con le stesse logiche fallimentari, anziché al futuro».

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