di Danilo Colacino – Una cena in compagnia, come tante, di una sera di ‘festa’ come tante, con gli amici di sempre. Ecco, questa insensata storia che sembra un romanzo giallo – ma purtroppo è una tragica realtà – inizia così. È il 2 novembre 2018, il giorno consacrato alla commemorazione dei defunti di un weekend festivo insolitamente lungo.
Di colpo, però, mentre ci si è appena seduti a tavola arriva una telefonata al padrone di casa, Pat (alias Pasquale Tallarico), che in un attimo diventa pallido e parla con la voce rotta da un pianto sul punto di scoppiare. “Come, possibile?” biascica sbigottito. “Che succede?”, chiediamo noi e quasi per esorcizzare ciò di cui intuiamo la gravità riusciamo solo stupidamente a dire: “Dai smettila, non fai ridere”. Ma nell’arco di pochi secondi, la verità di cui prendiamo a fatica contezza è che Marco Aidala – fratello minore di Pietro, da cui abbiamo appena appreso la drammatica notizia – forse non c’è più. Sarebbe, in quel momento il condizionale è d’obbligo, sparito nel nulla in una piccola radura boschiva prospiciente al lago Ampollino in cui si era recato per pescare come d’abitudine, assecondando una passione viscerale. E il forte sospetto è che, chissà perché, sia stato inghiottito da quelle ‘scure acque’, soprattutto in autunno. Io e Pasquale, intanto, nel volgere di pochi minuti ci ritroviamo in auto. Indossiamo abiti quasi estivi, considerato il protrarsi del clima mite, a stento ‘rinforzati’ da indumenti trovati in fretta e furia nell’armadio di Pat, e dopo aver fatto rifornimento iniziamo la salita verso un punto preciso, ma per noi ignoto e persino remoto, della Sila che pure conosciamo abbastanza.
Di colpo, però, mentre ci si è appena seduti a tavola arriva una telefonata al padrone di casa, Pat (alias Pasquale Tallarico), che in un attimo diventa pallido e parla con la voce rotta da un pianto sul punto di scoppiare. “Come, possibile?” biascica sbigottito. “Che succede?”, chiediamo noi e quasi per esorcizzare ciò di cui intuiamo la gravità riusciamo solo stupidamente a dire: “Dai smettila, non fai ridere”. Ma nell’arco di pochi secondi, la verità di cui prendiamo a fatica contezza è che Marco Aidala – fratello minore di Pietro, da cui abbiamo appena appreso la drammatica notizia – forse non c’è più. Sarebbe, in quel momento il condizionale è d’obbligo, sparito nel nulla in una piccola radura boschiva prospiciente al lago Ampollino in cui si era recato per pescare come d’abitudine, assecondando una passione viscerale. E il forte sospetto è che, chissà perché, sia stato inghiottito da quelle ‘scure acque’, soprattutto in autunno. Io e Pasquale, intanto, nel volgere di pochi minuti ci ritroviamo in auto. Indossiamo abiti quasi estivi, considerato il protrarsi del clima mite, a stento ‘rinforzati’ da indumenti trovati in fretta e furia nell’armadio di Pat, e dopo aver fatto rifornimento iniziamo la salita verso un punto preciso, ma per noi ignoto e persino remoto, della Sila che pure conosciamo abbastanza.
Il viaggio è un incubo. Dura più o meno tre quarti d’ora, che ci paiono un’eternità. La notte da cui siamo avvolti in misura crescente con il macinare dei chilometri e dei metri d’altitudine ci sembra ancora più buia, resa tetra dalla classica foschia dei luoghi di montagna, e dalla tensione che si taglia a fette. Poche parole, qualche congettura, ma abbiamo idee assai diverse sulla possibile dinamica dell’accaduto e di certo non ci accapigliamo per far valere le ipotesi di cui siamo rispettivamente portatori. Entrambi, però, pensiamo alle condizioni di Pietro, lassù in preda a una spaventosa angoscia, e a quelle dei genitori rimasti in città. Comunque sia la vita è strana, spesso persino beffarda: succede infatti che arrivi qualche squillo e messaggio da altri amici, ovviamente ignari di tutto, con richieste del tipo: “Ci raggiungi, andiamo a Lido?”. Noi, però, alle 22.50 siamo nei pressi di un’ormai, almeno per quanto mi riguarda, stramaledetta diga. Da lontano l’unica cosa che percepiamo distintamente sono i bagliori delle luci della struttura. Tuttavia sarà l’ansia o la suggestione, che pensiamo di vedere un battello delle forze dell’ordine già al lavoro per scandagliare il lago. La realtà sarà molto diversa, ma questa è un’altra storia.
Subito dopo vediamo pure i lampeggianti dei mezzi di soccorso che in breve tempo si paleseranno invece essere le ‘sirene’ di un’isolata camionetta dei pompieri. Finalmente, comunque, fra versi di mucche e latrati di cani in una nuovamente impenetrabile oscurità imbocchiamo – ‘a intuito’ – la strada giusta: quella che conduce a località Capo Rose. Ed è lì che, ancora una volta, la sensazione di essere protagonisti di un noir di Donato Carrisi ci pervade. Ma è tutto sempre tragicamente reale. Sul posto ci sono una quindicina di carabinieri, alcuni in borghese e altri in divisa oltre ai loro colleghi del Nucleo Forestale. Senza dimenticare i vigili del fuoco. Sono pochi, troppo pochi, considerato che devono perlustrare una superficie boschiva e d’acqua immense. Ci provano però a cercare…inizialmente con un gommone e le cellule fotoelettriche, ma dalle 3 circa con strumenti più adeguati. Sono intanto giunte squadre attrezzate da Cosenza e alle 6, quando ormai è l’alba – peraltro disvelatasi nella sua abbacinante bellezza in una sorta di dipinto naturale con uno stridente, incredibile e rarissimo, effetto Fata Morgana – ecco arrivare perfino gli specialisti del Reparto Sommozzatori di Bari. Alle 9.30, invece, sarà il momento dell’elicottero inviato da Reggio. Nei giorni a seguire inoltre – quando sulla fatidica sponda del lago si saranno radunati, alternandosi giorno dopo giorno decine di parenti e amici tuoi, Marcolì – partirà un’incessante ricerca effettuata mediante potenti mezzi pubblici e privati (minisommergibili con telecamere subacquee, droni e così via).
Tutto inutile, perché a fine mese anche la più ostinata e illogica delle speranze cadrà e il quasi accidentale ritrovamento del tuo corpo scriverà la parola fine su questa lacerante vicenda dopo di cui nulla sarà come prima. Qualcosa si è definitivamente spezzato. In noi, ma soprattutto in chi ti ha amato in modo speciale: su tutti genitori quali Rino e Rosanna, le persone più perbene mai viste, le cui urla strazianti di un anno fa mai potremo scordare. E in Pietro, unito a te da un rapporto osmotico e inscindibile. Un connubio impossibile da descrivere. Il pensiero, però, non può non andare pure ai tuoi adorati nipotini. Simone che ha avuto il privilegio di conoscerti e di godere delle tue amorevoli attenzioni – anche se per appena una manciata di anni – e Diego, a cui al momento opportuno sarà raccontato quale meraviglioso e insostituibile zio si è purtroppo perso.