di Gabriella Passariello- Con tre condanne si chiude il primo capitolo giudiziario nei confronti di tre imprenditori coinvolti nell’operazione della Dda “Coccodrillo”, che il 21 marzo scorso ha portato un indagato in carcere, sei agli arresti domiciliari e ad una misura interdittiva nei confronti di altre tre persone (LEGGI QUI). Il gup del Tribunale di Catanzaro Matteo Ferrante ha inflitto nei confronti di Giuseppe, detto Pino Lobello, 8 anni e 10 mesi di reclusione (il pubblico ministero della distrettuale ha invocato 12 anni), mentre ha condannato Antonio e Daniele Lobello, a 4 anni, 8 mesi di reclusione e 8 mila euro di multa, (il pm ha chiesto per ciascuno 8 anni di reclusione). Inoltre il giudice ha applicato nei confronti di Giuseppe Lobello le pene accessorie dell’incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione per la durata di cinque anni, dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’interdizione legale per l’intera durata della pena.
Le società sottoposte a confisca
Le società sottoposte a confisca
Il gup ha ordinato la confisca delle società Strade Sud srl, con sede a Simeri Crichi, il capitale sociale della Marina Cafè srl con sede a Catanzaro Lido e relativo complesso dei beni aziendali, del Consorzio Stabile Genesi, con sede a Catanzaro e relativo complesso dei beni aziendali e del Consorzio Stabile Zeus, con sede a Simeri Crichi e relativo complesso dei beni aziendali. Gli imputati rispondono a vario titolo, secondo le ipotesi originarie di accusa, di concorso esterno in associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni, trasferimento fraudolento di valori, autoriciclaggio, estorsione e favoreggiamento reale. I legali difensori Saverio Loiero, Francesco Gambardella, Enzo De Caro, Davide De Caro e Piero Mancuso, attenderanno il deposito delle motivazioni della sentenza per ricorrere in appello.
Società intestate a prestanomi
La Dda di Catanzaro aveva disposto nei confronti dei tre imputati il giudizio immediato, ma i legali difensori hanno invocato e ottenuto che i loro assistiti fossero giudicati con il rito alternativo (LEGGI QUI). Per altri nove imputati coinvolti nell’inchiesta stralcio e giudicati con rito abbreviato, il pubblico ministero Veronica Calcagno ha invocato un’assoluzione, un non doversi procedere per intervenuta prescrizione e sette condanne (LEGGI QUI), mentre per altri 5, che hanno scelto l’ordinaria udienza preliminare il giudice ha disposto un proscioglimento e quattro rinvii a giudizio (LEGGI QUI). Secondo le ipotesi di accusa gli imprenditori Lobello avrebbero provato a costituire numerose società, intestate a prestanomi e in passato il gruppo aveva subito alcune interdittive antimafia emesse dalla Prefettura di Catanzaro per le società Calbin S.r.l., Cantieri Edili Iniziativa 83 S.r.l. e Strade Sud S.r.l. Le indagini, corroborate dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, Santino Mirarchi, Gennaro Pulice, Dante Mannolo, figlio del boss Alfonso, e da diverse intercettazioni hanno consentito di evidenziare, il legame mantenuto nel tempo dalla famiglia Lobello con il clan Mazzagatti di Oppido Mamertina, il loro rapporto con il clan Arena di Isola Capo Rizzuto e altre cosche del Crotonese, tra cui quella riconducibile a Nicolino Grande Aracri.
“L’ imprenditore intoccabile e protetto dalle cosche”
Sarebbe stato Giuseppe Lobello, definito dai pentiti “l’imprenditore protetto dalle cosche”, in particolare dalla famiglia Arena, ad avere svolto la funzione di collettore delle estorsioni imposte nei cantieri edili del Catanzarese. Un meccanismo questo, secondo l’impianto accusatorio, che avrebbe consentito ai Lobello di conquistare una posizione dominante nell’esecuzione di lavori edili e forniture di calcestruzzo su Catanzaro e provincia, oltre a garantirsi la protezione da interferenze estorsive da parte di altri gruppi criminali. Ed è proprio per questo che Giuseppe Lobello, l’unico dei tre imputati, al quale viene contestato anche il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, si sarebbe guadagnato il titolo di “imprenditore intoccabile”.
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