di Gabriella Passariello- Nove mesi di reclusione per il padre che avrebbe picchiato la figlia minorenne per futili motivi provocandole dei lividi. Vessata e minacciata per anni, dal 2007 fino al 2019, anno in cui gli fu notificata la misura cautelare del divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla vittima. I giudici del Tribunale collegiale di Catanzaro, presieduto da Carmela Tedesco hanno derubricato il reato, come richiesto in aula dal pubblico ministero, da maltrattamenti aggravati in lesioni personali aggravate. Secondo le originarie ipotesi di accusa G. C., 64 anni, di Catanzaro, difeso dall’avvocato Stefania Rania, sotto l’effetto di sostanze alcoliche avrebbe percosso la figlia più volte, con cadenza quasi quotidiana e in un’occasione l’avrebbe colpita con una catena alle gambe e alla spalla, esercitando su di lei un controllo ossessivo. Le avrebbe imposto di non uscire da casa e di non frequentare nessuno, spingendosi finanche a picchiare un suo amico con il quale l’avrebbe sorpresa sotto la sua abitazione.
“Le taglio la testa con un’accetta”
“Le taglio la testa con un’accetta”
Il padre l’avrebbe minacciata di morte più volte, riferendo all’ex moglie: “avverti tua figlia, se continua a stare fuori casa oltre un certo orario le taglio la testa con un’accetta”, “le rompo una gamba o la mando in ospedale”. Una serie di violenze messe in atto “con la consapevolezza di lederne l’integrità fisica e morale, rendendole l’esistenza impossibile e costringendola a vivere in uno stato d’ansia tale da indurle finanche istinti suicidari”. Con l’aggravante di aver commesso il fatto nei confronti di una minorenne. Un’inchiesta scattata dalla denuncia della figlia, parte civile nel processo insieme alla madre e difese dagli avvocati Francesco Mancuso e Pasquale Gigliotti e che portò l’imputato nel 2019 ad essere destinatario di una misura cautelare vergata dal gup Claudio Paris e sottoposto su richiesta del magistrato Andrea Giuseppe Buzzelli, titolare del fascicolo, a giudizio immediato.