“Non esistono ragioni logiche per dubitare che la firma di autentica della sottoscrizione dei clienti dell’imputato sia stata vergata da quest’ultimo, visto che era l’unico interessato a farlo”. E’ la motivazione con cui la Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso con cui l’avvocato del foro di Catanzaro Gennaro Pierino Mellea, ha agito contro la decisione della Corte di appello del capoluogo di regione, che il 10 luglio 2020 ha confermato la sentenza del giudice di prime cure, ritenendo il professionista colpevole di falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità.
“I collaboratori estranei al reato di falso”
“I collaboratori estranei al reato di falso”
Secondo le ipotesi di accusa, l’avvocato nell’esercizio della professione avrebbe falsamente attestato l’autenticità delle firme dei due collaboratori apposte in calce ad un atto di citazione per danni, depositato al giudice di pace di Catanzaro, firme disconosciute dagli stessi clienti. Diventa, quindi definitiva la condanna del professionista che aveva proposto ricorso sul presupposto che non si era proceduto né in primo grado né in appello all’escussione dei clienti. Per la Cassazione: “Non si può ritenere che i collaboratori che in quel periodo frequentavano il suo studio si fossero assunti la responsabilità di consumare un falso in una pratica alla quale erano del tutto estranei”. (g p.)