“La sproporzione e l’utilizzo eccessivo dei provvedimenti cautelari; l’erosione delle garanzie difensive poste a presidio del diritto penale liberale e del giusto processo; e l’assenza (soprattutto in Calabria) di politiche sociali e culturali come forme alternative di lotta alla mafia e di recupero degli individui detenuti al termine del percorso carcerario”. Sono questi i tre temi principali al centro dell’audizione in Commissione Antimafia da parte del presidente della Camera Penale di Catanzaro, Valerio Murgano, e del vicepresidente Dario Gareri. Un “dibattito proficuo” quello a Vibo Valentia, in cui si ha avuto modo di evidenziare “le problematiche della Giustizia dal punto di vista dell’avvocatura”. Tre aspetti che rappresentano fattori di rischio per la buona riuscita della lotta alle mafie e uno squilibrio all’interno del sistema penale.
“La presa di coscienza da parte della politica delle problematiche evidenziate – ha detto il presidente Murgano – può condurre ad un innalzamento del livello qualitativo della risposta dello Stato; una risposta idonea a creare sicurezza e condivisione nella popolazione”.
“La presa di coscienza da parte della politica delle problematiche evidenziate – ha detto il presidente Murgano – può condurre ad un innalzamento del livello qualitativo della risposta dello Stato; una risposta idonea a creare sicurezza e condivisione nella popolazione”.
La sproporzione e l’utilizzo eccessivo dei provvedimenti giurisdizionali cautelari
Lo stato della giurisdizione in Calabria registra un trend tutto negativo. Da anni, infatti, la Corte d’Appello di Catanzaro e, a seguire, quella di Reggio Calabria, detengono il record di risarcimenti effettuati per riparazione derivante da ingiusta detenzione. Il nodo della questione, secondo Murgano, “è l’abuso e l’utilizzo massiccio delle misure cautelari, troppo spesso dispensate per finalità repressive non di singoli comportamenti antigiuridici, ma come strumento di lotta di un fenomeno sociale”. “Misure cautelari – continua – gravemente afflittive della libertà personale ed economica di individui, i quali subiscono contestualmente l’onta derivante da una campagna di disinformazione giudiziaria che, in spregio alla presunzione di non colpevolezza, sovrappone la figura dell’indagato a quella del condannato; una gogna mediatica che nessuna sentenza di assoluzione potrà mai neutralizzare. Quando tutto questo accade, lo Stato perde due volte; massacra il cittadino e fomenta logiche e culture antistatali”.
L’erosione delle garanzie difensive poste a presidio del diritto penale liberale e del giusto processo
“Nella piena convinzione dell’irrinunciabile funzione di garanzia che l’avvocatura svolge all’interno della giurisdizione – spiega il presidente della Camera Penale di Catanzaro – è evidente come la stessa non possa piegarsi alla continua, inarrestabile, pericolosa erosione dei principi e delle regole poste a presidio del giusto processo”.
“Serve un confronto serio e costruttivo sullo stato della giurisdizione – continua – perché la lotta alla mafia sia condotta senza ‘scorciatoie’ o attraverso un ‘garantismo a intermittenza’, nel rispetto dello statuto di garanzie imposto dalla nostra Carta Fondamentale”.
L’assenza di politiche sociali e culturali come forme alternative alla lotta alla mafia
“È importante ribadire che le operazioni antimafia, da sole, non sconfiggono la mafia – spiega ancora Murgano – ma bisogna creare le condizioni affinché i giovani non si avvicinino alla criminalità e, soprattutto, affinché possano avere un’alternativa di vita lecita. Politica e amministrazione dello Stato devono creare quelle condizioni, partendo dalle famiglie e dalle scuole (rafforzando la formazione e l’educazione al senso civico e alla legalità), soprattutto nei territori in cui storicamente le mafie hanno per troppo tempo scandito l’evolversi della vita sociale ed economica”.
Secondo la Camera Penale di Catanzaro “bisogna avere il coraggio di ‘scommettere’ su forme alternative di espiazione della pena, attingendo all’esperienza feconda della giustizia riparativa, in prossimità della fase terminale di espiazione della pena detentiva quando il periodo di osservazione in carcere ha dato esito positivo e consente di elaborare una prognosi favorevole di reinserimento nel tessuto sociale del condannato”.