di Danilo Colacino – La corsa di Sergio Abramo al vertice di Palazzo De Nobili sembra proprio giunta al capolinea. Attenzione, però, perché non significa che il sindaco-presidente stia per andare in pensione, abbandonando l’agone politico. Tutt’altro, perché di questo non vuol saperne, avendo poco più di 60 anni e sentendosi ancora nel pieno della sua pur già lunghissima carriera. Anzi, deve aver al contrario pensato che il meglio debba ancora venire. Eccome, soprattutto se dietro l’angolo c’è una bella poltrona da governatore. Una via per arrivare a ricoprire quell’ambita carica al cui inseguimento subì una sonora bocciatura (l’unica peraltro), restando a bocca asciutta nell’ormai lontano 2005. Bene, bravo, ma le difficoltà non mancano, considerato che il sindaco ha pochi sponsor nazionali. Dopo il Sansinato (la galleria da cui si esce dal capoluogo) non è che in effetti conti più di tanto e a livello locale deve fare i conti con un’autentica guerra per bande in atto nel vecchio centrodestra. Cosa fare allora per stare sul pezzo? Semplice: mantenere saldo il rapporto con gli aielliani e soprattutto non far saltare il banco con l’unico leader locale che un partito old style alle spalle, ancora riconosciuto dalle Alpi alla Sicilia, ce l’ha. Scontato il riferimento a Mimmo Tallini, che per il piano più alto della Cittadella ha un impegno preciso con Mario Occhiuto ma a cui non conviene mollare Abramo.
L’accorduni. “Ce ne andiamo a casa anzitempo?”. La tentazione Sergio e Mimmo ce l’hanno avuta, ma poi si saranno detti: “No, non ci conviene. Il potere logora chi non ce l’ha”. Ecco allora – come si sente dire nei corridoi dei palazzi del potere dei Tre Colli – sentire balenare l’idea dell’accorduni: lasciamo tutto com’è e aspettiamo. Quantomeno l’estate. Convenienza reciproca? Sì certo. La gestione, nel bene o nel male, della macchina comunale; la possibilità di lavorare sotto traccia in vista delle Regionali (si pensi all’attivismo, che in altri tempi non avrebbe avuto ragion d’essere, di un giovane come Fabio Talarico nelle fila degli abramiani di cui gli è stato affidato una sorta di coordinamento ombra come ovvio sempre al netto del ruolo di ‘delfino capo’ di Marco Polimeni o dello spasmodico impegno del vulcanico Giuseppe Pisano che fa il suo senza sosta seppur con minori velleità dei due colleghi); il controllo delle fibrillazioni interne entro livelli alti, ma ancora non deflagranti; la possibilità di coltivare la speranza di un’improvvisa uscita di scena di Occhiuto e così via.
L’accorduni. “Ce ne andiamo a casa anzitempo?”. La tentazione Sergio e Mimmo ce l’hanno avuta, ma poi si saranno detti: “No, non ci conviene. Il potere logora chi non ce l’ha”. Ecco allora – come si sente dire nei corridoi dei palazzi del potere dei Tre Colli – sentire balenare l’idea dell’accorduni: lasciamo tutto com’è e aspettiamo. Quantomeno l’estate. Convenienza reciproca? Sì certo. La gestione, nel bene o nel male, della macchina comunale; la possibilità di lavorare sotto traccia in vista delle Regionali (si pensi all’attivismo, che in altri tempi non avrebbe avuto ragion d’essere, di un giovane come Fabio Talarico nelle fila degli abramiani di cui gli è stato affidato una sorta di coordinamento ombra come ovvio sempre al netto del ruolo di ‘delfino capo’ di Marco Polimeni o dello spasmodico impegno del vulcanico Giuseppe Pisano che fa il suo senza sosta seppur con minori velleità dei due colleghi); il controllo delle fibrillazioni interne entro livelli alti, ma ancora non deflagranti; la possibilità di coltivare la speranza di un’improvvisa uscita di scena di Occhiuto e così via.
Il grande inganno. Tutto giusto e perfetto, allora? Non esattamente. Perché dietro a questo apparente equilibrio si cela un grande inganno: l’incapacità di sopportarsi (se non fosse per il collante del calcolo politico) nel medio-lungo periodo di Abramo, Tallini e Piero Aiello, che come premesso non rovesciano il tavolo solo perché da scafati uomini delle Istituzioni sanno bene come comunque non gli convenga scendere dal cavallo quando sono in sella. Sta di fatto, però, che se Abramo riesce a imporsi senza il decisivo aiuto di Tallini, gli presenterà il conto. Stessa cosa a parti invertite: se il sindaco fosse ancora una volta il prescelto (e con lo ‘stellone’ che si ritrova potrebbe benissimo essere), ma grazie al maggiorente forzista suo sodale da anni, non è che non pagherebbe dazio – sotto il profilo politico, s’intende – dopo lo strappo degli ultimi mesi e un braccio di ferro con il coordinatore provinciale di Fi non privo di strascichi.
L’opposizione alla finestra. Il patto di non belligeranza, chiaramente a tempo, in corso nel malridotto centrodestra attuale frustra non poco le ambizioni dell’opposizione con gli scalpitanti Nicola Fiorita e Sergio Costanzo, per non dire pure Roberto Guerriero, sempre speranzosi nel decisivo blitz. Ma esiste anche una minoranza dialogante con Abramo, curioso contraltare della maggioranza critica, rappresentata dal consigliere Eugenio Riccio, che non fa mistero di stimare il sindaco e di volersi confrontare con lui soltanto sui problemi concreti. Si tratta insomma di una sorta di posiziona ‘terza’: Riccio dunque non sta, almeno formalmente, dalla parte di Abramo, ma neppure è organico al fronte che lo combatte. Scelta di cui si deve tener debito conto, anche perché in un’eventuale battaglia dei numeri in aula l’adesione di un singolo membro dell’assemblea a questa o quella parte può far la differenza.