Comune Catanzaro, Palazzo De Nobili o Palazzo d’Inverno?

Vicenda Sieco a Catanzaro, scatta la diffida nei confronti del sindaco Fiorita

di Danilo Colacino – “La storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa”.

Aveva proprio ragione l’eminente filosofo ed economista tedesco Karl Marx, che al di là del modo in cui la si pensi ha segnato non un’era bensì varie epoche del pensiero e della politica da due secoli circa a questa parte.

Aveva proprio ragione l’eminente filosofo ed economista tedesco Karl Marx, che al di là del modo in cui la si pensi ha segnato non un’era bensì varie epoche del pensiero e della politica da due secoli circa a questa parte.

Ma la frase, facendo le dovute proporzioni e soppesando bene i termini usati, sembra attagliarsi alla perfezione al consiglio comunale di Catanzaro.

Un consesso che ha iniziato a lavorare sotto i migliori auspici nell’ormai lontano 2017 all’insegna della “rottura con i poteri forti” – espressione (anzi efficace slogan) attraverso cui il sindaco Sergio Abramo si riempiva la bocca, parlando pure di “mani finalmente libere” – e adesso invece divenuto un organismo costretto a riunirsi alla chetichella.

E già, perché la seduta mazziniana di domani (dopo ben 3 mesi di ‘ferie forzate’), senza alcuna pubblicità o ritualità, è il segno tangibile di un civico consesso fra i più bulgari e balcanizzati degli ultimi 60 anni almeno però paradossalmente asserragliato nel Palazzo.

E chissà se fra circa 24 ore questa situazione kafkiana non troverà la sua palmare evidenza con i rappresentanti del popolo ‘tutelati’, sarebbe eccessivo dire protetti,’ da unità delle forze dell’ordine affinché non subiscano eccessive e inadeguate rimostranze dal popolo stesso.

La democratica Repubblica delle Banane, insomma, in cui vincono (e anche largamente) sempre gli stessi, ma dove poi per riproporre una Giunta praticamente identica alla precedente, surrogare una manciata di consigliere e ‘ratificare la salvezza’ del fidatissimo Tommaso Brutto dall’assai temuta decadenza bisogna riunirsi come si fosse in tempi di guerra.

Un conflitto in cui la casta dominante che tutto può – o quantomeno finora poteva con buona pace dei sottoposti – si comporta come fosse braccata.

Roba che neppure Eugène Ionesco e Samuel Beckett avrebbero immaginato.

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