di Danilo Colacino – Diversi anni fa, nel periodo post il suo per certi versi clamoroso e burrascoso divorzio, Al Bano Carrisi in una lunga intervista al Corriere della Sera dichiarò più o meno questo: “Il giorno in cui mi sono sposato, nella mia testa partì una sorta di conto alla rovescia. E non per le innumerevoli differenze, sotto ogni punto di vista, tra me e Romina (la Power figlia delle star hollywoodiane Tyrone e Linda Christian, ndr), ma perché negli Stati Uniti i genitori si erano separati e ancor prima lo avevano fatto i nonni (in America era legalmente concesso praticamente da sempre, soprattutto in alcuni Stati della Con-federazione, non come in Italia in cui fu consentito solo dagli anni Settanta in poi, ndr). Un particolare che mi indusse sin da subito a pensare come a un certo punto dividersi fosse innato nella loro cultura. Un passaggio normale dopo X tempo. Tutto era dunque forse scritto, al di là dell’effetto dirompente che ebbe su di noi la tragica scomparsa di nostra figlia Ylenia”. Chissà, però, se avranno pensato lo stesso i maggiorenti del centrodestra catanzarese quando nel 2017 si misero insieme, superando ogni conflitto contingente, pur di battere l’altrettanto eterogenea – se non di più – coalizione antiabramo.
Un amore mai sbocciato. La storia dell’ultima miracolosa elezione di un fortunato Sergio Abramo ha una genesi precisa oltre al merito attribuibile a un paio di personaggi fondamentali: lo sfaldamento del cosiddetto Piccolo Centro e l’approdo nello schieramento degli aielliani, per Dna mutevoli e cangianti (una specie di movimento liquido per parafrasare il celebre Zygmunt Bauman), che diedero un contributo importante se non decisivo in termini di voti. Sì, certo, ma non senza dare successivamente fastidio allo zoccolo duro del fronte pro Abramo: Forza Italia e realtà satelliti al partito azzurro, of course. Il dirigente forzista Mimmo Tallini tuttavia, come noto più realista del re, fece spallucce e in nome di un successo simile a quello di Balboa in Rocky IV, per giunta arrivato in un momento in cui il Pd era altrove ancora fortissimo, accolse il ‘figliol prodigo’ Piero Aiello senza battere ciglio, neppure storcendo la bocca quando i suoi cominciavano a occupare postazioni di governo e sottogoverno locale a spron battuto. ‘Prendetene e mangiatene tutti’, insomma. Almeno fino a che certe scelte non hanno reso impossibile ogni tipo di mediazione. In particolare quelle per le Regionali e la successione di Abramo.
Un amore mai sbocciato. La storia dell’ultima miracolosa elezione di un fortunato Sergio Abramo ha una genesi precisa oltre al merito attribuibile a un paio di personaggi fondamentali: lo sfaldamento del cosiddetto Piccolo Centro e l’approdo nello schieramento degli aielliani, per Dna mutevoli e cangianti (una specie di movimento liquido per parafrasare il celebre Zygmunt Bauman), che diedero un contributo importante se non decisivo in termini di voti. Sì, certo, ma non senza dare successivamente fastidio allo zoccolo duro del fronte pro Abramo: Forza Italia e realtà satelliti al partito azzurro, of course. Il dirigente forzista Mimmo Tallini tuttavia, come noto più realista del re, fece spallucce e in nome di un successo simile a quello di Balboa in Rocky IV, per giunta arrivato in un momento in cui il Pd era altrove ancora fortissimo, accolse il ‘figliol prodigo’ Piero Aiello senza battere ciglio, neppure storcendo la bocca quando i suoi cominciavano a occupare postazioni di governo e sottogoverno locale a spron battuto. ‘Prendetene e mangiatene tutti’, insomma. Almeno fino a che certe scelte non hanno reso impossibile ogni tipo di mediazione. In particolare quelle per le Regionali e la successione di Abramo.
Le frizioni dapprima celate ma con il tempo deflagrate. L’unione di varie anime del centrodestra e non solo era ibrida ab origine, però in fondo possibile pur tra qualche pizzicotto e sgambetto da ‘Signora maestra’. Nulla di serio. Ma sin da quando lo stesso centrodestra, tradizionalmente inteso, ha iniziato ad annusare odore di vittoria – certa – alle Regionali si è innescata una vera e propria slavina nell’ente di Via Eroi. Abramo ha cominciato a sognare di cancellare l’unica, assai cocente peraltro, sconfitta della sua carriera politica; Tallini a un buen retiro da ‘padre nobile’ con un ruolo preferibilmente istituzionale; Claudio Parente a un posto nella stanza dei bottoni; Aiello a tornare in un modo o nell’altro nel giro che conta (scottato al pari di Tallini, però rimasto a Palazzo Campanella e coordinatore provinciale di Fi, dall’inatteso stop del 4 marzo 2018) e Baldo Esposito ad assumere una funzione di peso in Giunta. Senza contare le velleità di Marco Polimeni e Ivan Cardamone, delfini scalpitanti come focosi puledri, di guidare il Comune. Un frullatore impazzito, quindi.
Forza Italia dà il preavviso di sfratto all’ormai non più suo sindaco. Il post di ieri di Cardamone, apparso sulla sua pagina Facebook, più che un monito è una dichiarazione di guerra. Tallini (pardon il partito) non fa sconti, imputando all’ex alfiere persino l’ampio ricorso a consulenti esterni (alcuni lautamente retribuiti, diremmo noi) e il mandato conferito (a titolo assolutamente gratuito, sia chiaro) a Tonino De Marco (pur non espressamente nominato) definito ‘irriducibile rivale persino al ballottaggio’ (citazione letterale) oltre a varie altre cose. Un fuoco di fila che si traduce nei più classici degli otto giorni dati.
Le contromosse di Abramo e dei sodali di Catanzaro da Vivere. Abramo annaspa, ma non getta di certo la spugna. Non è nelle sue corde. Anzi. Ecco perché si è già organizzato per ‘resistere, resistere, resistere’ insieme al fido Polimeni e compagnia cantante. L’arma che ha è il pallottoliere: gli serve raggiungere quota 18 in Consiglio, ma a differenza di quanto qualche commentatore distratto non ha capito – scrivendo male – non ha un grande ventaglio di scelta considerato che qualche consigliere-stampella indicato da chi ha poche notizie sull’argomento gli ha già chiesto di entrare nella nuova Giunta, de-forzizzata direbbe il Crozza-Maroni della Tv. Un’istanza posta senza se e senza ma. Ecco allora che il pressing su Eugenio Riccio e Rosario Lostumbo si è fatto insistente così come si dà per scontato l’appoggio di Antonio Triffiletti con un Giovanni Merante assessore. Ma basta? Si vedrà. Magari si imbarcherà qualche peones dell’Aula il cui unico obiettivo è di ‘tirare a campare pur di non tirare le cuoia’. Altri, invece, pensano a commissionare i… nuovi santini.