Condannato all’ergastolo, sparito da due settimane: ecco chi è Ciccio Pakistan

di Vincenzo Imperitura – Dalla strage del primo maggio del 1993, a quella di ferragosto del 2007, passando per l’eccidio di Natale del 2006: c’è una striscia di sangue senza fine che segue come un’ombra la figura di Francesco Pelle, aka Ciccio Pakistan, pezzo da ’90 della ‘ndrangheta di San Luca condannato in via definitiva all’ergastolo, e che da un paio di settimane ha fatto perdere le proprie tracce.

Una striscia di sangue che, inevitabilmente, richiama gli anni tremendi della faida di San Luca – una delle più lunghe e più feroci combattute tra le cosche di ‘ndrangheta del reggino – per un personaggio che, riuscito a sopravvivere miracolosamente ad un agguato, seppure costretto su una sedia a rotelle, è riuscito a ritagliarsi un ruolo di primo piano nel panorama criminale che fa capo al piccolo centro della Locride.

Una striscia di sangue che, inevitabilmente, richiama gli anni tremendi della faida di San Luca – una delle più lunghe e più feroci combattute tra le cosche di ‘ndrangheta del reggino – per un personaggio che, riuscito a sopravvivere miracolosamente ad un agguato, seppure costretto su una sedia a rotelle, è riuscito a ritagliarsi un ruolo di primo piano nel panorama criminale che fa capo al piccolo centro della Locride.

LA STRAGE DEL PRIMO MAGGIO

Il nome di “Ciccio Pakistan” viene fuori la prima volta in seguito a quella che viene ricordata come la strage del primo maggio del ‘93: al tramonto di quella giornata dedicata ai lavoratori – la faida di San Luca era scoppiata un paio di anni prima con gli omicidi del giorno di carnevale del 1991 – furono quattro i cadaveri a restare sul selciato: due legati ad una fazione, due legati a quella rivale. A fare il nome di Pelle è il collaboratore di giustizia Rocco Mammoliti, che indica il neo latitante come membro del commando di fuoco che falcia, per rappresaglia, Giuseppe Pilia e Antonio Strangio, ammazzato nella propria auto il primo, freddato davanti alla sua macelleria il secondo. Qualche ora prima, in contrada San Giovanni di San Luca, in un ovile, a cadere sotto i colpi di un commando di fuoco erano stati Giuseppe Vottari e Vincenzo Puglisi, entrambi legati da vincoli di parentela con il ramo “Frunzu” dei Vottari e alleati di “Pakistan”. Un botta e risposta immediato (tra i due agguati, passano solo poche ore) che, almeno nelle intenzioni del gruppo “Nirta-Strangio”, avrebbe dovuto seguire un altro copione: «Quando avvenne il duplice omicidio di Vottari e Puglisi – raccontava  Mammoliti ai magistrati della distrettuale antimafia dello stretto – era stato predisposto un secondo gruppo di fuoco… che sarebbe dovuto intervenire in paese contro le famiglie Vottari e Pelle, sia per completare l’azione di fuoco della montagna, sia per evitare una rappresaglia armata». Un’azione che era stata studiata nei dettagli e che saltò, probabilmente, per via del mancato funzionamento dei walkie–talkie utilizzati dai diversi commandi. «Non riuscirono a comunicare fra di loro – diceva  ancora Mammoliti – e questo provocò la risposta armata, nello stesso giorno, ad opera del figlio di Domenico Pelle (Francesco, ndr)». Una mancata comunicazione che provocò la vendetta immediata di Francesco “Pakistan” Pelle che, scrivevano i carabinieri raccogliendo una fonte confidenziale, avrebbe guidato la rappresaglia a bordo di una Vespa 50. Pelle a quei tempi, seppure legato da saldi vincoli di parentela ad alcune famiglie “pesanti” di San Luca (i “Vanchelli” e i “Gambazza”), non è ancora un pezzo grosso ma, nel solco di una tradizione orami consolidata – un po’ per sottrarsi alle ritorsioni degli avversari, un po’ per eludere le investigazioni degli inquirenti – scompare dal paese per quasi un anno, rifugiato in Germania.

SANGUE CHIAMA SANGUE

Per qualche anno la calma sembra tornare all’ombra della Montagna cara a Corrado Alvaro, ma poi, dopo la cattura del mammasantissima latitante Giuseppe Morabito il “tiradritto”, qualcosa si incrina di nuovo e la tensione sale alle stelle. Nel riacutizzarsi della faida cadono in poco tempo (e sempre in date “particolari”, in occasioni cioè di ricorrenze soprattutto religiose) Antonio Giorgi e Salvatore Favasulli. Poi, il 31 luglio del 2006, a cadere vittima di un agguato è proprio Francesco Pelle che riesce a sopravvivere buttandosi a terra ma viene comunque colpito alla spina dorsale, rimanendo per sempre costretto su una sedia a rotelle. «Mi hanno voluto fare il regalo per il bambino» dirà “Pakistan” intercettato dai carabinieri nella sua stanza d’ospedale durante la degenza per i colpi subiti: proprio quel giorno infatti il figlio neonato di Pelle era stato portato a casa, ad Africo, per la prima volta.

LA STRAGE DI NATALE

Nelle settimane trascorse in ospedale “Pakistan”, la cui stanza è costantemente monitorata dai carabinieri, trattiene a stento la rabbia per l’attentato subito; rabbia che sembra perdere ogni freno quando arriva la notizia che la lesione alla spina dorsale non potrà mai guarire completamente. Il clima a San Luca è pesante come non mai in quei giorni, persino il ramo dei Pelle “Gambazza” tenta di mediare, ma senza risultato. Nel pomeriggio del giorno di Natale del 2006, un gruppo armato fino ai denti si presenta davanti al n. 150 di via Alvaro, a San Luca, la casa del boss Giuseppe Nirta, capocosca dei “Versu”. Sono decine i colpi esplosi che feriscono a morte Maria Strangio, moglie di Giovanni Luca Nirta (uscito di galera grazie all’indulto da una manciata di giorni e, presumibilmente, vero obbiettivo del blitz di fuoco) e feriscono in modo grave altre tre persone, tra un cui un bambino. L’ergastolo definitivo, storia di pochi giorni fa, sarà comminato a Pelle proprio per essere stato considerato il mandante della strage di Natale, elemento scatenante di quella passata alla storia come la strage di Duisburg, rappresaglia dei Nirta-Strangio che, nell’agosto del 2007, fece scoprire al mondo la violenza e la capacità criminale della ‘ndrangheta di San Luca.

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