Il Coronavirus è entrato di prepotenza nella nostra vita. Eravamo così diversi, così individualisti, così egoisti. Lo siamo ancora, ma in parte tutti abbiamo la sensazione di essere uguali. Per la prima volta, forse, in tutto il pianeta, ci sentiamo uguali.
E’ quasi un miracolo, uno dei pochi aspetti che possono essere considerati positivi in questi giorni di ansia e di lotta al Covid-19. Prima abbiamo dato la caccia ai colpevoli, si è puntato il dito contro la Cina, poi sull’Italia. Ora il virus si propaga nel mondo, senza escludere alcuno. Oggi si capisce che ammalarsi di Coronavirus non è una colpa. Chi si infetta non è colpevole, tuttavia, ognuno di noi, è chiamato a difendere se stesso e coloro che vivono intorno. Siamo improvvisamente Comunità e non ci eravamo abituati. Il destino di ogni essere umano è indissolubilmente legato al destino degli altri che gli vivono intorno. Confinati oltre quei due metri di sicurezza, ci accorgiamo che non ci si può più abbracciare, baciare, stringere le mani. Forse il Coronavirus ci rende ancora più soli, singoli individui, che però hanno una grandissima responsabilità: difendere il genere umano. E’ necessario, doveroso. E non perché si rischia di morire tutti. Non serve il panico, l’allarmismo. Serve senso di responsabilità. Il 50% dei contagiati è asintomatico, centinaia stanno già guarendo, ma ci sono persone più vulnerabili, come gli anziani o chi soffre di patologie pregresse. Dobbiamo proteggerli tutti insieme.
E’ quasi un miracolo, uno dei pochi aspetti che possono essere considerati positivi in questi giorni di ansia e di lotta al Covid-19. Prima abbiamo dato la caccia ai colpevoli, si è puntato il dito contro la Cina, poi sull’Italia. Ora il virus si propaga nel mondo, senza escludere alcuno. Oggi si capisce che ammalarsi di Coronavirus non è una colpa. Chi si infetta non è colpevole, tuttavia, ognuno di noi, è chiamato a difendere se stesso e coloro che vivono intorno. Siamo improvvisamente Comunità e non ci eravamo abituati. Il destino di ogni essere umano è indissolubilmente legato al destino degli altri che gli vivono intorno. Confinati oltre quei due metri di sicurezza, ci accorgiamo che non ci si può più abbracciare, baciare, stringere le mani. Forse il Coronavirus ci rende ancora più soli, singoli individui, che però hanno una grandissima responsabilità: difendere il genere umano. E’ necessario, doveroso. E non perché si rischia di morire tutti. Non serve il panico, l’allarmismo. Serve senso di responsabilità. Il 50% dei contagiati è asintomatico, centinaia stanno già guarendo, ma ci sono persone più vulnerabili, come gli anziani o chi soffre di patologie pregresse. Dobbiamo proteggerli tutti insieme.
Ecco perché ci si appella all’alto senso di responsabilità di ogni cittadino. Non solo sulle misure precauzionali da intraprendere per ridurre i rischi del contagio e per contenerne la diffusione. Dobbiamo essere responsabili per non essere contagiati e per non contagiare gli altri. Il Governo italiano ha chiuso scuole ed università. Tanti giovani studenti calabresi ritornano a casa e come loro tanti che lavorano fuori regione e che ora non possono farlo per il Coronavirus. A tutte queste persone, che rientrano, si chiede un maggiore senso di responsabilità. Molti ritornano in auto e non sono sottoposti a controlli. Senza cadere in discriminazione alcuna, perché sarebbe la peggiore conseguenza, è fondamentale invitare chi rientra e rientrerà in Calabria in questi giorni, di verificare di non essere contagiati e di adottare le misure preventive indicate dal ministero, per proteggere la loro Calabria, terra debole e con una sanità a pezzi. Nessuno può essere considerato colpevole, ma è necessario non sottovalutare quanto detto dal presidente della Federazione nazionale dell’ordine dei medici, Filippo Anelli, che ha messo in guardia tutti su questo potenziale rischio ulteriore di diffusione del virus. Le sue parole devono essere prese molto sul serio, perché sono estremamente probabili. “Al Sud possiamo farcela – ha detto Anelli parlando degli ospedali e dell’assistenza sanitaria – in Calabria non credo proprio”. Dunque, proprio i calabresi più di tutti, hanno l’obbligo di essere ancor più responsabili degli altri. Perché si sa, ad avere la peggio sono sempre i più deboli e la Calabria, come noto, è il tallone d’Achille dell’Italia intera (a.m.).