(D.C.) – La paura in alcuni farmacisti, anche calabresi, fa novanta. Ed è comprensibile, perché fra i tanti clienti che si ritrovano ogni giorno potrebbero esserci degli affetti da Coronavirus, seppur a loro insaputa naturalmente.
Certo, le prescrizioni sono rigide. La gente deve fare la fila per entrare all’interno in numero peraltro non superiore alle due unità; detergersi all’ingresso con del disinfettante all’uopo predisposto dalle stesse strutture e infine restare ad almeno un metro di distanza dal bancone.
Certo, le prescrizioni sono rigide. La gente deve fare la fila per entrare all’interno in numero peraltro non superiore alle due unità; detergersi all’ingresso con del disinfettante all’uopo predisposto dalle stesse strutture e infine restare ad almeno un metro di distanza dal bancone.
Ma il rischio zero è forse un’astrazione. Malgrado ciò, nessuno di loro dà a vedere il disagio che prova o si sottrae e pressoché tutti continuano quindi a garantire un fondamentale servizio assistenziale al pari dei medici e del personale sanitario in servizio negli ospedali e negli altri presidi clinici.
Ma la richiesta che ormai da più parti proviene – in attesa che le associazioni di categoria si pronuncino, magari dopo una qualche intesa con il Governo – sarebbe quella di distribuire i farmaci come nei giorni o nelle ore di turno, vale a dire durante la chiusura delle altre farmacie. Un modo per eliminare quasi completamente il rischio contagio per il personale.
Proposta che forse verrà accolta o forse no. Difficile dirlo in un periodo in cui tutto sembra in divenire e comunque assai vago.
L’unica certezza è che l’intero comparto della Sanità deve avere la massima priorità su ogni decisione da prendere.