Coronavirus, il racconto a C7 di uno spaventato operatore di call center

call center inps

di Danilo Colacino – Call center: la preoccupazione degli operatori è davvero tanta dopo l’approdo del Coronavirus anche in Calabria e a Catanzaro.

Alcune strutture private, in particolare quelle in cui si offre un’assistenza telefonica ai clienti di una società o azienda, stanno al pari di altre lavorando (anche il nostro giornale, ad esempio) quasi come nulla fosse successo.

Alcune strutture private, in particolare quelle in cui si offre un’assistenza telefonica ai clienti di una società o azienda, stanno al pari di altre lavorando (anche il nostro giornale, ad esempio) quasi come nulla fosse successo.

L’aspetto da rilevare non è dunque questo, semmai il modo in cui lo si fa. Che deve essere in totale sicurezza.

Il rispetto delle norme prescritte dal Dpcm Conte è infatti intangibile, ma forse non in tutti gli ambienti di lavoro è così. E sarebbe grave.

Non bisogna infatti dimenticare come ne esistano alcuni, i call center appunto, nei quali le condizioni di molti dipendenti radunati in uno spazio tutto sommato ridotto e l’impossibilità di indossare la mascherina (non potendosi parlare granché alla cornetta o al microfono con una protezione per la bocca) complica, e non poco, la faccenda.

Ecco perché un operatore si è rivolto a noi, illustrandoci la situazione nel suo ufficio: “Dopo il dilagare della malattia, qualcosa è cambiato. Sì. Da poco per fortuna ci hanno consentito di sederci, saltando una postazione, e dunque con uno spazio fra ognuno di noi forse superiore al paio di metri. Hanno inoltre provveduto a una sanificazione delle stanze per mezzo di un addetto in tuta che, con noi presenti però, ha spruzzato del disinfettante. A riguardo, attendiamo peraltro adesso la certificazione di salubrità dei luoghi che sicuro sarà stata rilasciata”.

Fin qui gli aspetti positivi, definiamoli così. Ma a cui fanno purtroppo da contraltare i tanti che ancora non vanno.

E a renderceli noti è sempre lui, il nostro lettore: “Le postazioni continuano a essere sporche, impolverate. Siamo noi a pulirle la mattina. Stessa cosa dicasi per i guanti monouso, di cui ci siamo automuniti. E c’è di più. Nei corridoi e nei bagni non c’è traccia del gel per detergersi le mani, di cui si è parlato nei giorni scorsi, bensì si trova solo il solito sapone liquido forse persino annacquato. E le salviette? Chi le ha viste? Male pure l’aspetto dell’aerazione dei locali, considerato che siamo comunque in tanti in posti grandi. ma non sconfinati, e ognuno di noi viene per effettuare turni di 4, 6 ovvero 8 ore. Nell’ultimo caso quanti hanno la qualifica di assistente o caposala. Ma il profilo forse meno accettabile è la mancata accettazione da parte della proprietà di ridurre i turni. Niente turn-over, allora, eppure avremmo potuto – ha chiosato – recuperare il monte ore perduto con successivi straordinari a cui ci saremmo sottoposti in maniera volontaria. Come premesso, però, nulla da fare. Chi vuole stare a casa, senza svolgere le proprie mansioni, deve ricorrere alle ferie personali, già non tantissime, o alla cosiddetta malattia, tuttavia come ovvio certificare”.

Questo, dunque, il racconto di una persona, che naturalmente tuteliamo con il più assoluto anonimato pur avendone verificato identità e tutto il resto, che dovrebbe quantomeno imporre una riflessione oltre, forse, a una più intensa e incisiva attività sindacale di confronto con tale impresa e le altre laddove si renda necessario.

Foto d’archivio

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