Corruzione in atti giudiziari, l’ex giudice Petrini non parla e l’inchiesta rischia di naufragare

Nel corso dell'incidente probatorio l'ex giudice si è avvalso della facoltà di non rispondere, non fornendo alcun contributo all'inchiesta

Nessun colpo di scena, nessuna rivelazione. Il giudice Marco Petrini, ex presidente della Corte di appello di Catanzaro, chiamato dalla Dda a rendere dichiarazioni nelle forme dell’incidente probatorio ha scelto il silenzio. Davanti al gip campano, accompagnato dal suo legale di fiducia Francesco Calderaro si è avvalso della facoltà di non rispondere nell’ambito dell’inchiesta che lo vede indagato insieme all’avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia, Giancarlo Pittelli per corruzione in atti giudiziari aggravata dalle modalità mafiose. Si è registrato lo stesso “copione” verificatosi nel corso dell’udienza Rinascita Scott, quando citato come teste il magistrato, tra i tanti non ricordo, non ha proferito parola.

Stesso copione registrato in Rinascita Scott

Stesso copione registrato in Rinascita Scott

Per la Dda che ha chiesto ed ottenuto l’incidente probatorio: “alla luce delle dichiarazioni rese dal penalista  il 7 novembre 2022 , la successiva memoria difensiva depositata dai suoi avvocati, Salvatore Staiano, Giandomenico Caiazza e Guido Contestabile, otto giorni dopo, e il contenuto delle propalazioni rese da Petrini, citato come teste nel processo Rinascita Scott (LEGGI), era necessario cristallizzare le dichiarazioni, che si sarebbero potute tradurre in prove in un futuro dibattimento, dal momento che in questa indagine, la Direzione distrettuale antimafia ha sottolineato che il giudice “non ha mai inteso rendere interrogatorio, sebbene invitato sia nel corso dell’inchiesta, che successivamente alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini”, ritenendo, quindi, necessario procedere al suo esame. Un esame che ha portato a un nulla di fatto e che rischia di far naufragare l’inchiesta stessa e le ipotesi accusatorie sottese nei confronti di Pittelli. 

L’ipotesi accusatoria

Secondo le ipotesi accusatorie, l’avvocato Pittelli “nel quadro di un più ampio impegno allo sfruttamento delle proprie relazioni istituzionali per la risoluzione delle vicende giudiziarie coinvolgenti l’imprenditore Rocco Delfino e le società a questo riconducibili” avrebbe promesso al presidente della Corte d’Appello, sezione misure prevenzione, Marco Petrini, “una somma di denaro non precisata quale corrispettivo della revoca del provvedimento di confisca dei beni di Rocco Delfino, imprenditore legato alla cosca Molè-Piromalli”. Soldi che, per la Procura di Salerno, dovevano essere corrisposti all’esito della pronuncia ma che, in realtà, non furono mai consegnati per via dell’arresto, sostengono i magistrati salernitani nel capo di imputazione dello stesso Pittelli nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Catanzaro passata alla storia con il nome in codice di “Rinascita Scott” il cui maxi blitz è scattato il 19 dicembre del 2019, ovvero il giorno successivo all’ultima udienza di trattazione del procedimento penale nel quale doveva essere decisa la questione sulla confisca dei beni di Delfino.

Le presunte omissioni

In particolare, l’ex magistrato Marco Petrini avrebbe omesso “di dichiarare inammissibile l’istanza di revocazione – erroneamente proposta dalla Corte d’Appello di Catanzaro piuttosto che a quella di Reggio Calabria – benché Pittelli vi avesse rinunciato fin dal 13 luglio 2018 ritenendo che il successivo svolgimento processuale fino all’udienza di trattazione del 18 dicembre 2019 avesse assorbito la rinunzia”. La Procura di Salerno contesta ai due indagati anche l’aggravante di avere agito per agevolare la cosca di ‘ndrangheta dei “Molè-Piromalli”.

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