E’ arrivato al capolinea un nuovo troncone dell’inchiesta della Dda di Salerno. Il procuratore aggiunto Alberto Cannovale, il sostituto Mario Benincasa, con il visto del procuratore capo Giuseppe Borrelli hanno chiuso le indagini nei confronti di tre indagati. Sotto inchiesta, a vario titolo, per corruzione in atti giudiziari e corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio sono finiti il giudice Marco Petrini, il cancelliere Massimo Sepe e l’avvocato Marzia Tassone difesi dagli avvocati Agostino De Caro, Francesco Calderaro, Tiziano Saporito, Valerio Murgano e Antonio Curatolo.
“Sesso in cambio di sentenze favorevoli”
“Sesso in cambio di sentenze favorevoli”
Secondo quanto si legge sul capo di imputazione dell’avviso di conclusione indagini il giudice Marco Petrini (nei cui confronti si è proceduto separatamente) all’epoca dei fatti presidente della seconda sezione della Corte d’assise d’appello di Catanzaro “riceveva dall’avvocato Maria Tassone utilità consistite in prestazioni sessuali di cui almeno due documentate nel corso dell’attività investigativa avvenute l’1 marzo 2019 negli uffici della Commissione tributaria di Catanzaro e il 7 marzo 2019. In particolare in qualità di presidente del Collegio nell’ambito del procedimento denominato ‘Ragno’ all’udienza tenuta nel gennaio del 2019 avrebbe rigettato la richiesta avanzata dalla Procura generale di utilizzare i verbali del collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso mentre nel collegio difensivo figurava anche l’avvocatessa Maria Tassone”. Il 7 marzo del 2019 Petrini avrebbe promesso aiuto allo stesso avvocato per la difesa di Giuseppe Gualtieri, imputato per il duplice omicidio Petrolini-Bava e “nel concorrere alla predisposizione di un’istanza di revoca di misura cautelare indicando gli elementi nuovi nell’interesse di un assistito dell’avvocato Tassone nell’ambito di un processo per spaccio di droga pendente alla Corte d’appello di Catanzaro”.
Le accuse al cancelliere
In questo troncone dell’inchiesta risulta coinvolto anche il cancelliere Massimo Sepe che risponde in concorso con il giudice Petrini (all’epoca dei fatti presidente della Commissione tributaria) e con altre persone non identificate, di corruzione in atti giudiziari. In particolare, Petrini, in più occasioni, avrebbe ricevuto accettato la promessa e avrebbe poi anche ricevuto utilità (quali orologi preziosi) come prezzo in cambio di sentenze favorevoli per i contribuenti che avevano ricevuto accertamenti dall’Agenzia delle Entrate. (mi.fa.)