Di Serafina Morelli – “È vero che la mera collocazione di un comune in contesto territoriale infestato da cosche mafiose non è sufficiente a determinarne lo scioglimento”. Ma per il Comune di Cassano allo Ionio non si può parlare di “mera collocazione territoriale in un contesto inquinato dalla ‘ndrangheta; le ramificazioni delle cosche cassanesi, al contrario, sono penetrate, attraverso rapporti di vario tipo, all’interno degli organi decisionali del Comune”. A scriverlo è il Consiglio di Stato che in ventuno pagine spiega perché il Comune della Sibaritide, nel novembre 2017, sia stato legittimamente sciolto per mafia.
Nelle motivazioni della sentenza il Collegio del Consiglio di Stato – che ha respinto il ricorso proposto dall’ex sindaco Gianni Papasso, dagli assessori Ercole Cimbalo, Rossella Iuele, Alessandra Oriolo, Angela Salmena, dai consiglieri comunali Filena Alfano, Antonio Clausi, Elisa Fasanella, Francesco Giardini, Giuseppe Graziadio, Felicia Laurito, Antonio Lonigro, Antonio Martucci, Lino Notaristefano, Gaetano Scarano – specifica che “in realtà per il Comune di Cassano allo Ionio vi sono ulteriori plurimi riferimenti in atti che indicano, nelle persone di eletti dell’amministrazione disciolta, consiglieri di maggioranza e di minoranza, figure collegate a esponenti delle locali cosche, segnalando casi di esponenti politici locali, specialmente della maggioranza, tra cui il presidente del consiglio comunale poi sfiduciato, con rapporti di contiguità, in alcuni casi di parentela stretta, con esponenti mafiosi indagati e condannati in procedimenti penali, e in alcuni casi parenti stretti di esponenti della ’ndrangheta uccisi in agguati mafiosi”.
Nelle motivazioni della sentenza il Collegio del Consiglio di Stato – che ha respinto il ricorso proposto dall’ex sindaco Gianni Papasso, dagli assessori Ercole Cimbalo, Rossella Iuele, Alessandra Oriolo, Angela Salmena, dai consiglieri comunali Filena Alfano, Antonio Clausi, Elisa Fasanella, Francesco Giardini, Giuseppe Graziadio, Felicia Laurito, Antonio Lonigro, Antonio Martucci, Lino Notaristefano, Gaetano Scarano – specifica che “in realtà per il Comune di Cassano allo Ionio vi sono ulteriori plurimi riferimenti in atti che indicano, nelle persone di eletti dell’amministrazione disciolta, consiglieri di maggioranza e di minoranza, figure collegate a esponenti delle locali cosche, segnalando casi di esponenti politici locali, specialmente della maggioranza, tra cui il presidente del consiglio comunale poi sfiduciato, con rapporti di contiguità, in alcuni casi di parentela stretta, con esponenti mafiosi indagati e condannati in procedimenti penali, e in alcuni casi parenti stretti di esponenti della ’ndrangheta uccisi in agguati mafiosi”.
L’erogazione a pioggia dei sussidi, l’irregolarità nel corrispondere contributi assistenziali, la frequentazione con esponenti delle cosche locali, il mancato contrasto all’abusivismo edilizio, l’affidamento sospetto degli appalti concentrati in capo a pochissime ditte: sono tutti elementi che hanno inciso e condizionato la gestione amministrativa. E l’esito del voto democratico è risultato, anch’esso, “condizionato o comunque contaminato da gruppi mafiosi”.
Ma nonostante il Consiglio di Stato abbia rigettato il nostro ricorso avverso la sentenza del TAR Lazio, l’ex sindaco di Cassano allo Ionio, Gianni Papasso, ribadisce che si è tratta di un’ingiustizia e che “i risultati dello scioglimento sono sotto gli occhi di tutti e testimoniano la morte civica e civile della nostra amata comunità. A nulla sono valse le nostre dettagliate spiegazioni, che rappresentano assolute verità sui punti individuati dalla commissione di accesso”.
Secondo il Collegio del Consiglio di Stato, presieduto da Franco Frattini, l’ex sindaco – visto anche il suo curriculum politico e la profonda conoscenza del territorio – era pienamente capace di conoscere, controllare, gestire tutti gli aspetti dell’amministrazione locale, dalle decisioni “politiche” alla loro esecuzione amministrativa.