Covid, l’Oms classifica la nuova variante Omicron come “preoccupante”

La nuova mutazione, che ha messo in allerta l'Europa e non solo, è stata identificata in Sudafrica e ha 32 mutazioni della proteina Spike che potrebbero teoricamente aumentarne la trasmissibilità

La nuova variante B.1.1.529 individuata in Sud Africa è stata chiamata Omicron dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), che l’ha classificata come preoccupante, fa parte cioè della lista delle cosiddette Voc (Variants of concern).

Due settimane per sapere se sfugge ai vaccini

Due settimane per sapere se sfugge ai vaccini

Sono necessarie circa due settimane per capire se e fino a che punto la nuova variante B.1.1.529 del virus SarsCoV2 è in grado di sfuggire agli anticorpi generati dai vaccini anti Covid, così come alle difese dovute all’attivazione delle cellule T del sistema immunitario. Lo rende noto la virologa Penny Moore, dell’Università del Witwatersrand a Johannesburg, le cui dichiarazioni sono riportate dalla rivista Nature sul suo sito. Al momento non è chiaro nemmeno se questa variante sia più trasmissibile della Delta. Le notizie finora disponibili riguardano alcuni casi di reinfezioni e di casi in individui vaccinati, ha detto ancora ricordando che i vaccini utilizzati in Sud Africa sono quelli di Johnson & Johnson, Pfizer-BioNtech or Oxford-AstraZeneca. Tuttavia “in questa fase – rileva – è troppo presto per dire qualcosa”.

Il motivo per cui non è possibile sapere se la variante B.1.1.529 sia più trasmissibile della Delta, ha detto Moore, è perché “il numero dei casi di Covid-19 in Sud Africa è piuttosto basso”. La situazione è incerta anche per un l’infettivologo Richard Lessells, dell’Università di KwaZulu-Natal a Durban: “ci sono molte cose che non capiamo di questa variante”, ha detto in una conferenza stampa organizzata dal dipartimento della salute del Sudafrica e riportata dal sito di Nature. “Il profilo della mutazione preoccupa, ma ora dobbiamo lavorare per capire le caratteristiche di questa variante in relazione all’andamento della pandemia”.
Le prime informazioni sulla variante B.1.1.529 sono arrivate grazie alle sequenze genetiche ottenute in Botswana. Si è visto così che questa variante contiene più di 30 mutazioni della proteina Spike che il virus utilizza per invadere le cellule

Nove mesi per avere un vaccino aggiornato

Alla luce di quanto si è osservato finora, potrebbero essere necessari nove mesi per avere un vaccino aggiornato contro la nuova variante B.1.1.529 isolata in Sud Africa. In media sono necessari infatti da due a tre mesi per progettare il vaccino aggiornato e metterlo in produzione e a questo periodo vanno aggiunti i circa sei mesi necessari per i trial clinici , ha osservato Broccolo.
“Entro l’anno potrebbero arrivare i vaccini aggiornati contro le varianti Alfa, Beta e Gamma, mentre l’arrivo di quello contro la Delta non è previsto prima della primavera”, ha detto. Quando si deve aggiornare un vaccino “sono necessarie da due a tre mesi per mettere a punto la piattaforma vaccinale aggiornata ed entrare in produzione e poi seguire un iter di trial clinici”, ha spiegato il virologo. Nonostante i tempi piuttosto ampi è opportuno seguire la via degli aggiornamenti in quanto, osserva l’esperto, “si è visto che l’evolversi delle varianti nasce dall’accumulo di precedenti mutazioni. Per questo motivo avere anche un aggiornamento parziale del vaccino potrebbe garantire una maggiore protezione”. Con l’arrivo dei vaccini aggiornati contro le varianti Alfa. Beta e Gamma, per esempio, sarebbe possibile avere una protezione contro alcune delle mutazioni presenti nella nuova variante B.1.1.529.

“Nella nuova variante mutazioni triplicate”

Il virus della nuova variante sudafricana B.1.1.529 potrebbe ingannare i vaccini perché sulla proteina Spike presenta un numero molto alto di mutazioni, che è ben tre volte superiore a quello della variante Delta: per questo è necessario potenziare il tracciamento e accelerare la burocrazia per l’approvazione dei nuovi farmaci antivirali che bloccano la replicazione del virus nelle cellule. E’ quanto sostiene Massimo Zollo, genetista dell’Università Federico II di Napoli e coordinatore della Task force Covid-19 del Ceinge.
“Sono molto preoccupato da questa variante che ha tutte le carte in regola per essere più aggressiva delle precedenti: l’elevato carico di mutazioni sulla proteina Spike potrebbe renderla irriconoscibile agli anticorpi generati dai vaccini”, spiega l’esperto.  “A queste mutazioni se ne aggiungono altre rilevanti: ci sono le mutazioni H655Y, N679K e P681H, poste vicino alla regione di taglio della furina, che possono aumentare la penetranza del virus; c’è la mutazione della proteina nsp6, che potrebbe aiutare il virus a evadere la risposta immunitaria innata; e poi ci sono altre mutazioni sulla proteina N (preposta alla strutturazione e al mantenimento del genoma del virus) che potrebbe renderlo meno attaccabile”.

Come avevano ampiamente previsto gli esperti, “la variante è comparsa in un Paese dove il tasso di vaccinazione della popolazione è basso, perché più il virus circola più ha probabilità di mutare”, sottolinea Zollo. Gli sforzi della comunità scientifica si concentrano ora nel capire quali conseguenze possa scatenare il virus nel corpo umano. Nel frattempo, per fronteggiare la situazione, “bisogna innanzitutto potenziare il tracciamento: per fortuna la variante ha delle mutazioni che la rendono rilevabile con un semplice tampone, anche senza il sequenziamento genetico. Poi è necessario accelerare la burocrazia per l’approvazione dei nuovi farmaci antivirali: i vaccini sono un’arma necessaria ma non sufficiente per combattere la pandemia”.

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