Crollo sulla statale 106 a Catanzaro, due a giudizio e un’assoluzione (NOMI)

Cooperazione colposa le accuse rispetto alle quali dovranno difendersi i due imputati il cui processo inizierà il prossimo 28 giugno

di Gabriella Passariello- Due a giudizio e un’assoluzione, nell’ambito dell’inchiesta sul crollo del muro di contenimento della rampa di accesso n° 6 sulla 106 . Il gup del Tribunale di Catanzaro Antonio Battaglia ha accolto la richiesta formulata in aula dal pubblico ministero rinviando a giudizio Ajmone Cat Alessio Marino, ingegnere progettista per conto di Astaldi Spa e  Michele Mele, ingegnere collaudatore statico dell’opera, mentre ha assolto l’ingegnere direttore dei lavori Antonio Bevilacqua (codifeso dai legali Giovanni Rizzuto e Nicola Carratelli), che ha scelto il rito abbreviato, con la formula “per non aver commesso il fatto”. Il processo nei confronti dei due professionisti che hanno optato per il rito ordinario inizierà il prossimo 28 giugno.Tutti e tre gli imputati si sono dovuti difendere dalle accuse di cooperazione colposa non avendo previsto un idoneo sistema di drenaggio dell’acqua, effettuando una sottostima dei carichi agenti sul terrapieno e realizzando una sovrastima dei parametri di resistenza meccanica del terreno.

Le singole ipotesi di accusa

Le singole ipotesi di accusa

Secondo le originarie ipotesi di accusa, Ajmone Cat Alessio Marino, codifeso dagli avvocati Aldo Casalinuovo e Francesco Tocci, nell’elaborazione della progettazione esecutiva del tratto Statale 106 e del muro di contenimento della rampa di accesso n° 6 non avrebbe previsto un idoneo ed efficace sistema di drenaggio dell’acqua e avrebbe effettuato una sottostima dei carichi agenti sul terrapieno, realizzando dei parametri di resistenza meccanica del terreno. Antonio Bevilacqua, nelle fasi di progressiva realizzazione dell’opera, non si sarebbe avveduto o avrebbe omesso di avvedersi, secondo una ordinaria osservanza delle regole della tecnica, del difetto di progettazione quantomeno in riferimento all’insussistenza di un idoneo e necessario sistema di drenaggio dell’acqua. Ipotesi accusatoria crollata alla luce del verdetto del gup, mentre Michele Mele avrebbe effettuato il collaudo statico senza riscontrare alcuna delle criticità progettuali evincibili attraverso l’ordinaria osservanza della “regole della tecnica”. Fatti commessi a Catanzaro il 26 maggio 2017, data di inizio del cedimento del muro.

Le parti civili

Si sono costituite parti civili, l’Anas e il Codacons, quest’ultimo difeso dall’avvocato Sonia Mirarchi, che con la sua denuncia ha fatto scattare l’inchiesta del sostituto procuratore Vito Valerio.

La perizia egli errori che potevano essere evitati

  “C’è stato un errore progettuale”. Il crollo della rampa di accesso avvenuto nel 2017 sulla statale 106, allo svincolo di Germaneto poteva essere evitato, se solo fossero stati utilizzati un adeguato sistema di drenaggio dell’acqua e  misure cautelative in fase progettuale. E’ quanto hanno riferito oggi in aula il  professore Mario Paolo Petrangeli e l’ingegnere Andrea Polastri, entrambi domiciliati a Roma, periti nominati dal gup Antonio Battaglia,  una volta preso atto “che nell’albo dei periti e consulenti iscritti nel Tribunale di Catanzaro non risultano persone in grado di svolgere l’incarico peritale in questione e che  per la delicatezza dell’incarico appare opportuna comunque l’individuazione di esperti residenti al di fuori del distretto di competenza”.

“Drenaggio inesistente, assenti i canali di scolo”

I consulenti hanno relazionato sugli esiti della perizia, parlando di drenaggio inesistente, senza tubi di scolo esterno con  un ristagno di acqua alla base della struttura che ha prodotto una rotazione. Assenti i canali di scolo per far defluire le acque meteoriche e il materiale utilizzato per la struttura non è stato sufficientemente ripulito con l’inevitabile conseguenza di una minore resistenza per la tenuta della rampa. Inadeguata, secondo i periti, la struttura di ferro che ha favorito rotazione e  crollo.  Da quanto risulta agli atti, “il muro crollato era soggetto a spinte del terrapieno superiori a quanto previsto in progetto. Questa maggiore spinta è da imputare ad ipotesi non sufficientemente cautelative assunte in fase di progetto.  Le sollecitazioni molto elevate nelle barre di armatura hanno provocato una fessurazione alla base del muro certamente superiore  a quella consentita per avere una sufficiente durabilità”. Alla specifica domanda, perché è crollato proprio quel tratto e non tutto il muro, domanda posta dall’avvocato Aldo Casalinuovo all’ingegnere Polastri, quest’ultimo ha risposto: “l’intero muro era già in condizioni critiche e a causa del terrapieno, il riempimento dell’acqua  ha determinato il crollo proprio di quella parte”.

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