La drammatica storia della 22enne morta dopo l’arresto in Iran: “Ci battiamo per le garanzie degli imputati”

Mahsa Amini avrebbe subito maltrattamenti dalla polizia morale che l'aveva arrestata perché non indossava correttamente il velo

di Aldo Truncè * –  Il 16 settembre è morta in Iran Mahsa Amini, una giovane donna 22enne originaria del Kurdistan, che ha subito maltrattamenti dalla polizia morale che l’aveva arrestata perché non indossava correttamente il velo. In un paese dove non vi sono libertà democratiche, la notizia non farebbe tanto scalpore se, alla morte ingiusta della donna, non fossero seguite tante manifestazioni nelle strade di Teheran e di altre città iraniane. Queste proteste hanno sparso ulteriore sangue. Ad oggi il bilancio “ufficiale” è di 17 morti, ma c’è da chiedersi se non vi siano ulteriori vittime, dal momento che le fonti di informazione in un paese dove vige la censura di Stato, non spiccano per la loro affidabilità, e prova ne è che alcuni social network siano stati bloccati. Di fronte all’estrema pericolosità nel portare avanti il dissenso, fanno ben sperare le manifestazioni e gli atti simbolici di coraggio, intrapresi soprattutto dalle donne. Dietro i falò dei veli nella pubblica piazza, non c’è il tradimento della religione di Stato, che informa la cultura e la legislazione, ma c’è un grido di laicità che ulula contro gli estremismi nati dalla legge coranica.

Donne in piazza in un Paese dove vige la pena di morte

Donne in piazza in un Paese dove vige la pena di morte

Nasce spontaneo, allora, un pensiero di comparazione tra le forme di protesta che muovono, in Italia, da associazioni per la tutela dei diritti (di cui le Camere Penali sono espressione) e quelle di realtà mediorientali come Iran e Yemen. Qui ci battiamo per le garanzie dell’imputato nel processo penale, e ragioniamo con gli strumenti donatici dai padri costituenti, da chi ha combattuto, nella prima metà del secolo scorso, per la difesa delle libertà democratiche. Le nostre pacifiche manifestazioni di disapprovazione delle politiche giudiziarie, appaiono agli occhi di quelle donne, che rischiano la propria vita scendendo in piazza, come effimere lagnanze. Sono loro, le vere eroine, che rischiano la propria pelle, in un paese dove vige ancora la pena di morte e la sanzione dell’amputazione. Questo coraggio è un fermento di libertà che ricorda le primavere arabe di qualche anno fa, che potrebbero diffondere ancora le brezze di emancipazione, in quest’autunno appena iniziato. La speranza è che si apra uno squarcio nel velo dell’ottenebrato Iran.

* presidente della Camera penale di Crotone

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