Da “Non è l’Arena” il risultato è sempre uguale: Calabria, terra Amara

di Alessandro Manfredi – E’ una Calabria amara quella che emerge nel corso della trasmissione dedicata alle inchieste di ‘ndrangheta e di politica e che tanto clamore mediatico hanno suscitato.

A “Non è l’Arena” di La 7, condotta da Massimo Giletti, la Calabria raccontata e documentata, attraverso dichiarazioni, interviste, servizi e dibattito in studio, è decisamente, come dagli autori evidenziato nel corso della messa in onda, una terra amara.

A “Non è l’Arena” di La 7, condotta da Massimo Giletti, la Calabria raccontata e documentata, attraverso dichiarazioni, interviste, servizi e dibattito in studio, è decisamente, come dagli autori evidenziato nel corso della messa in onda, una terra amara.

Da un lato le inchieste del procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, sempre più uomo simbolo di Stato e giustizia per i cittadini calabresi e per gli italiani tutti. Dall’altro, l’inchiesta che riguarda il Comune di Catanzaro, dove 29 consiglieri sono indagati per la presunta allegra gestione di gettoni di presenza durante l’espletamento delle commissioni consiliari. Ed ancora, la presenza dell’imprenditore Salvatore Barbagallo, che le cosche del vibonese hanno logorato e perseguitato dal 2007. Lui ha risposto alla ‘ndrangheta denunciando, senza aver paura.

“Nel 2007 mi hanno avvicinato le cosche, – racconta Barbagallo in onda – mi rubavano camion, gasolio, hanno reso la mia vita una sofferenza totale. A quel punto ho detto basta e sono andato a denunciare la cosca. …I politici calabresi di politica ne capiscono poco, come si può cambiare la Calabria se non si supera l’omertà”. Parole sante, verrebbe da commentare.

Poi, l’Arena ha approfondito il caso “Catanzaro”, con servizi e interviste ai protagonisti, con la presenza in studio del presidente del Consiglio comunale Marco Polimeni. E’ stato uno scontro continuo, tra domande rimaste senza risposta e l’utilizzo di un perfetto politichese da parte del giovane rappresentante istituzionale catanzarese, che lo ha condotto a dire sempre e solo determinate affermazioni. Alle sollecitazioni di Giletti o degli ospiti presenti in studio Polimeni ha sempre replicato utilizzando l’arte della retorica. Non si vuole certo esprimere giudizi sulla scelta di tale atteggiamento, poco disposto al confronto vero ed al dialogo, totalmente difensivo a prescindere.

Tuttavia, mantenendo come di dovere deontologico una posizione neutra, sembra doveroso analizzare quanto detto e raccontato, perché se da un lato Polimeni ci ha messo la faccia andando a “Non è l’Arena”, è altrettanto vero che la sua faccia è in un certo senso quella dei calabresi, dei catanzaresi, tutti stanchi di essere dipinti come lo schifo d’Italia.

Lo si apprende dal social, dalle reazioni dei cittadini che hanno visto ieri sera la puntata su La7 o la rivedono on line. Le parole sdegno e vergogna sono utilizzate da tantissimi contro Polimeni e ciò che rappresenta, la politica, ma qualcuno di contro difende la scelta di Polimeni di non dare giustificazioni e di affidarsi al lavoro della magistratura, sostenendo che se sarà dimostrata una colpa, il colpevole pagherà, come ovvio e giusto che sia. Ecco, ciò però che non va è proprio questo. Polimeni avrebbe dovuto rispondere con trasparenza e serenità sul merito delle questioni, innanzitutto perché è giovane, dunque, ci si aspetta di vederlo recitare il ruolo istituzionale non certo come lo si è fatto in passato e come ancora chi dal passato proviene è solito fare.

Perché una verità oggettiva Polimeni durante la trasmissione l’ha data. “Non si può fare di tutta l’erba un fascio – ha detto. Non si può mettere insieme l’operazione antimafia che ha portato all’arresto di 334 persone e l’inchiesta che riguarda i 29 consiglieri comunali”. Sono due cose totalmente diverse aggiungiamo noi. Anzi, addirittura sono diverse completamente anche le posizioni degli indagati. C’è chi sarà osservato per il comportamento lecito o meno della ricezione dei gettoni di presenza nelle commissioni consiliari e c’è chi deve rispondere di ben altro, tipo l’aver avuto rimborsi con assunzioni che gli inquirenti attestano essere illegali e costruite ad arte per usufruire di privilegi e soldi pubblici.

Questa è una verità inconfutabile, ma di certo l’errore di valutazione non può essere riversata su Giletti e i suoi ospiti. Sono quasi legittimati a generalizzare, se Polimeni, nonostante dei tentativi di chiarimento avanzati con toni scaturiti in accesi diverbi, non sia stato adeguatamente capace di mettere in evidenza questa enorme differenza in modo netto, nei fatti, rispondendo magari anche alle domande finalizzate a comprendere cosa si sia prodotto in questi mesi di commissioni, con il presidente del consiglio comunale che ha dato invece la sensazione netta di saperne davvero poco. E succede, pertanto, che anche quando pare di aver ragione si finisce nel torto. Tutto va nel calderone del pregiudizio e se i cittadini oggi pensano che ‘ndrangheta e politica spesso possano andare a braccetto, non è colpa loro, come non è colpa di “Non è l’Arena”, di Giletti o di Cecchi Paone. La colpa è dei politici calabresi, che, escluse poche eccezioni, in questi decenni hanno ottenuto solo la celebrazione di se stessi sulle ceneri di una Calabria ormai praticamente morta e prosciugata del suo riscatto.

Polimeni avrebbe forse dovuto spiegare bene come l’istituzione che rappresenta sia totalmente estranea all’operazione Rinascita-Scott e questa è una verità oggettiva. Avrebbe dovuto rispondere senza indugiare o formulare frasi di circostanza e dire che, alla manifestazione del 18 gennaio nella quale la Calabria scenderà in piazza a Catanzaro a sostegno del procuratore Gratteri, lui sarà presente. Perché proprio su Gratteri, un presunto suggerimento esterno arrivato a Polimeni mentre era in onda e considerato strumentale ha scatenato l’ira di Giletti, con successiva reazione veemente di Polimeni, che ha promesso querela al conduttore per le accuse rivolte.

Insomma, per tirare le somme, il risultato è questo: Marco Polimeni, giovane politico catanzarese e presidente del consiglio comunale, non è riuscito ad esprimere le sue ragioni come forse avrebbe voluto e avrebbe dovuto. Giletti e i suoi ospiti hanno sguazzato su questo creando i presupposti del maggiore audience possibile. Alla pratica il pregiudizio, che associa ‘ndrangheta e politica, si è incrementato agli occhi dei telespettatori italiani. Tuttavia, anche se con addendi diversi, ancora una volta, il risultato non è cambiato. E’ sempre il solito, quello che la ‘ndrangheta, la politica mediocre o corrotta e l’omertà e la paura dei calabresi hanno in questi anni seminato e dai quali si sono generati i frutti che osserviamo e viviamo nella nostra quotidianità di essere calabresi. Quale possa essere il risultato, dunque? Come detto, il solito. La Calabria rimane terra amara e niente più.

Redazione Calabria 7

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