di Sergio Pelaia – La pubblicazione degli elenchi ufficiali dei candidati al consiglio regionale apre il mese caldo che porterà la Calabria ad avere una nuova guida politica. È giusto ricordare che tutto quello che si legge in queste ore ha un’origine tragica: il 15 ottobre di un anno fa la Calabria si è svegliata con la tremenda notizia della scomparsa, a soli 51 anni, di Jole Santelli, che appena 10 mesi prima era stata la prima donna ad essere eletta presidente della Regione Calabria. Neanche il dramma, scandito dalla forza di una donna che ha affrontato con grande dignità il suo difficile compito per di più lottando strenuamente contro la malattia, è stato purtroppo preservato dalle bassezze dello scontro politico ed è pure questa una circostanza da richiamare per decifrare il livello della classe dirigente che questa regione ha finora espresso. Se tale cifra possa mutare nel prossimo futuro spetta ai cittadini valutarlo. Agli osservatori, dopo la colata di nomi e cognomi raccolti nelle liste presentate ieri, il compito di analizzare come i vari schieramenti si presentino a questo appuntamento. Che arriva a un anno esatto da quando la Regione ha perso la sua presidente eletta per entrare nell’interregno, prolungato dal Covid, del non eletto Nino Spirlì.
Il ticket e l’asse Berlusconi-Salvini
Il ticket e l’asse Berlusconi-Salvini
Proprio il ticket con il (già e in pectore) vicepresidente leghista è la novità principale per il centrodestra calabrese. Il candidato alla Presidenza Roberto Occhiuto, diventato capogruppo di Forza Italia alla Camera alla sua terza legislatura parlamentare, ha dovuto accettarlo in ossequio all’asse Berlusconi-Salvini ma non sembra, almeno apparentemente, farne un dramma. Occhiuto probabilmente in cuor suo pensa di essere in procinto di riprendersi ciò che era già dovuto, un anno e mezzo fa, a suo fratello Mario e che proprio il leader del Carroccio all’epoca gli ha negato. Per vincere ci vogliono sempre i numeri e dunque l’aspirante governatore azzurro ha lavorato di fino, assieme al senatore-coordinatore Giuseppe Mangialavori, per trovare un equilibrio tra i pacchetti di voti e l’esigenza di un rinnovamento che, hanno rivelato i casi di mogli e figlie in realtà sostenute da nuove alleanze tra vecchi big, è tanto sbandierato quanto solo apparente. Gli va dato atto di aver messo da parte qualche candidatura ingombrante ma nessuno ha avuto il coraggio di spiegarne i motivi. Così come va riconosciuto che a differenza del finora apparentemente legalitario Pd ha trasmesso tutte le liste alla Commissione Antimafia per il controllo preventivo. Se ciò possa bastare a ripulire davvero la politica calabrese è un dubbio retorico, ma Occhiuto sa bene che non basta vincere ma bisogna governare ed è quella la sfida vera che lo aspetta. I rapporti con Spirlì e con Fratelli d’Italia non saranno semplici. Ma il potere, specie a destra, si rivela sempre il migliore collante.
La guerra (a perdere) del Pd
Se è vero che proprio il potere logora chi non ce l’ha per il centrosinistra le divisioni sembrano destinate a durare. Dopo un casting che ha bruciato fior di candidati – i più noti sono Nicola Irto ed Enzo Ciconte – dal cilindro del commissario del Pd Stefano Graziano, ma soprattutto di Francesco Boccia, è uscita prima l’imprenditrice Maria Antonietta Ventura e poi quello della scienziata Amalia Bruni, la cui candidatura, come successo già con Pippo Callipo, ha permesso ai dem di uscire dal guado affidandosi ancora una volta al civismo. Quello che non dicono, i maggiorenti del Pd, è che quando scelgono un civico sono quasi certi di perdere, ché se mai ci fosse una possibilità di vittoria si può star certi che sarebbe appannaggio di un politico. Comunque, alla fine le liste pro Bruni sono state fatte e la sensazione è che tra animalisti, socialisti, verdi e movimento “del presidente” (presentato con il calembour “Calabria SiCura” per rilanciare il refrain del medico che cura i malati e ora anche tutti i calabresi) non ci sia grande sostanza elettorale. Sicuramente la lotta vera è nel Pd – la guerra catanzarese lo testimonia – ed è una lotta che non ha certo l’obiettivo di salvare la Calabria quanto il destino di qualche gruppo di potere interno che gestirà le macerie future. Per il M5S è la prima vera prova della gestione di Giuseppe Conte e c’è da sfatare, impresa non facile, il dato storico dell’inconsistenza pentastellata nelle prove elettorali territoriali. Da segnalare infine che Carlo Tansi non è riuscito a presentare una delle due liste che aveva annunciato e si è candidato capolista di “Tesoro Calabria” in tutti e tre i collegi.
La rivoluzione dello sbarramento
A fine 2020, con il secondo mandato al Comune di Napoli già sul viale del tramonto, Luigi de Magistris ha fatto sapere che tantissimi dalla Calabria gli inviavano messaggi chiedendogli di venire a salvarci dalla malapolitica. E lui alla fine ha deciso di fare questo “sacrificio”. Ha messo insieme quattro liste che portano il suo nome – alla faccia della politica del “collettivo” contrapposta ai partiti-persona – a cui se ne aggiungono due che fanno riferimento a Mimmo Lucano e alla galassia della sinistra proveniente da Rifondazione e, in misura minore, da Potere al popolo. Ha imbarcato tanta gente brava e valida che in cuor suo coverà, c’è da starne certi, anche un flebile dubbio di stare portando solo acqua al mulino di Dema e non sarà un caso che proprio il portavoce del movimento dell’ex pm, il giovane e bravo sindaco di Cinquefrondi Michele Conia, si è speso e si spenderà molto per il polo civico – ostentato come né di destra né di sinistra, “da Lucano ad Angela Napoli” – ma alla fine non si è candidato in prima persona. Tra un mese sapremo se la Calabria è pronta per prendere il palazzo d’inverno o se l’obiettivo rivoluzionario per ora è il superamento della soglia di sbarramento.
Salvate il soldato Mario
Da “prima di tutto la Calabria” a un meno trumpiano “per la Calabria”, l’orgoglio di Mario Oliverio si è tradotto in una sola lista zeppa di fedelissimi ma anche di candidature di servizio. L’ex presidente ha fatto oggi quello che avrebbe voluto fare a gennaio 2020 quando il Pd lo mise da parte – ma lui aveva spergiurato di non volersi mai e poi mai ricandidare – a favore dell’imprenditore del tonno. Perorando unità e dignità della sinistra alla fine ha deciso di aggiungere frammentazione a frammentazione, di non deporre le armi della vendetta e di cercare quanto più possibile di erodere consenso al Pd. L’unico suo obiettivo è evidentemente quello ma ricorda l’ultimo giapponese con l’elmetto in testa. Tanti suoi ex luogotenenti lo hanno abbandonato per Amalia Bruni e qualcuno fa capolino anche nelle liste di Occhiuto. Godersi le plurime pensioni deve essere evidentemente una prospettiva poco allettante, ma il pericolo di una fine politica ingloriosa è dietro l’angolo. Una cosa però Oliverio la dice da sempre e gliene va dato atto: le sorti della Calabria si sono decise e si decidono ancora oggi a Roma, dove sono stati scelti sia Occhiuto – Berlusconi ha addirittura confessato che i giochi erano belli e fatti già a ottobre – che la Bruni. Chissà che non siano anche i palazzi romani, chiunque vinca, a stabilire chi e come spenderà i miliardi in arrivo con il Pnrr.
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